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Informationen zum Dokument  BGE 145 IV 294  Materielle Begründung
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Regeste
Sachverhalt
Il Tribunale federale accoglie il ricorso di A. A., legittima proprietaria del dipinto, annulla la decisione del TPF e gli rinvia la causa affinché rifiuti la domanda di assistenza giudiziaria e ordini il dissequestro dell'opera.
Erwägung 2
Erwägung 3
Erwägung 4
Erwägung 5
Erwägung 6
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35. Estratto della sentenza della I Corte di diritto pubblico nella causa A. contro Ministero pubblico del Cantone Ticino (ricorso in materia di diritto pubblico)
 
 
1C_447/2018 del 13 maggio 2019
 
 
Regeste
 
Art. 84 BGG; Art. 6-8 des Übereinkommens der UNESCO über Massnahmen zum Verbot und zur Verhütung der rechtswidrigen Einfuhr, Ausfuhr und Übereignung von Kulturgut; Art. I Abs. 2 und Art. IV der Vereinbarung zwischen dem Schweizerischen Bundesrat und der Regierung der Republik Italien über die Einfuhr und die Rückführung von Kulturgut; Art. 2 Abs. 5, Art. 3, 5, 7 und 24 des Kulturgütertransfergesetzes (KGTG); Art. 5 Ziff. 1 Bst. a des Europäischen Übereinkommens über die Rechtshilfe in Strafsachen (EUeR) und Art. 64 Abs. 1 IRSG. Internationale Rechtshilfe in Strafsachen: beidseitige Strafbarkeit.  
Das UNESCO-Übereinkommen ist nicht direkt anwendbar. Die bilaterale Vereinbarung mit Italien ist ebenfalls nicht anwendbar, da deren Anhang Gemälde nicht erfasst (E. 3).  
Bei gehöriger Umsetzung wäre die Ausfuhr des Gemäldes aus der Schweiz nicht strafbar, da dieses nicht im Bundesverzeichnis bzw. in einem italienischen Verzeichnis eingetragen ist. Ebenso wenig wäre seine Einfuhr rechtswidrig, da sie nicht, wie das KGTG verlangt, gegen die bilaterale Vereinbarung mit Italien verstösst, deren Anhang Gemälde nicht aufführt. Das interne italienische öffentliche Recht ist nicht massgebend, weil unter Vorbehalt einer anderslautenden Regelung in einer bilateralen Vereinbarung kein Staat gehalten ist, innerhalb seiner Grenzen ausländisches öffentliches Recht anzuwenden und einzuhalten (E. 5 und 6).  
 
Sachverhalt
 
BGE 145 IV, 294 (296)A. Il 5 febbraio 2015 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro (Italia) ha presentato alla Svizzera una domanda di assistenza giudiziaria (...) nel quadro di un procedimento penale aperto nei confronti di B., A.A. e altri per titolo di associazione per delinquere al fine del trasferimento illecito all'estero di dipinti di interesse artistico e storico in assenza di attestati di libera circolazione e/o licenze di esportazione (art. 174 del Decreto Legislativo italiano 22 gennaio 2004 n. 42 [in seguito: D. L. 22 gennaio 2004 n. 42]). Si tratta in particolare di un dipinto olio su tela (...) raffigurante il "Ritratto di Isabella d'Este", attribuito secondo la rogatoria a Leonardo da Vinci e comunque opera pittorica risalente ai primi decenni del XVI secolo. L'autorità estera ha chiesto di dare seguito a due decreti di sequestro dell'opera (...) emessi (...) dal Giudice per le indagini preliminari (...). L'opera è stata sequestrata a Lugano il 9 febbraio 2015 dalla Polizia cantonale. (...)
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B. Con sentenza del 23 dicembre 2016 (RR.2016.181) la Corte dei reclami penali del Tribunale penale federale (TPF) aveva annullato l'ordinata restituzione all'Italia del dipinto fondata su una decisione non ancora passata in giudicato. Con complemento del 5 aprile 2018 la Procura estera ha poi chiesto di eseguire la sentenza n. 83 del 9 marzo 2017 del citato Tribunale nei confronti di A. A., con la quale è stata condannata alla pena di un anno e due mesi di reclusione ed è stata disposta la confisca del dipinto, decisione divenuta irrevocabile il 30 gennaio 2018. Il 30 maggio 2018 il Ministero pubblico del Cantone Ticino (MP) ne ha ordinato la consegna all'Italia. Adito da A. A., con decisione del 4 settembre 2018 il TPF ne ha respinto il ricorso. (...)
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Il Tribunale federale accoglie il ricorso di A. A., legittima proprietaria del dipinto, annulla la decisione del TPF e gli rinvia la causa BGE 145 IV, 294 (297)affinché rifiuti la domanda di assistenza giudiziaria e ordini il dissequestro dell'opera.
 
(estratto)
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Dai considerandi:
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Erwägung 2
 
2.1 I rapporti di assistenza giudiziaria in materia penale fra la Repubblica Italiana e la Confederazione Svizzera sono retti dalla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, entrata in vigore il 12 giugno 1962 per l'Italia e il 20 marzo 1967 per la Svizzera (CEAG; RS 0.351.1) e dall'Accordo del 10 settembre 1998 tra la Svizzera e l'Italia che completa la Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale e ne agevola l'applicazione, entrato in vigore mediante scambio di note il 1° giugno 2003 (RS 0.351.945.41; in seguito: Accordo italo-svizzero). In concreto, oltre alla Convenzione del 14 novembre 1970 concernente le misure da adottare per interdire e impedire l'illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali entrata in vigore il 3 gennaio 2004 per la Svizzera e il 2 gennaio 1979 per l'Italia (RS 0.444.1; in seguito: Convenzione UNESCO), occorre esaminare anche l'Accordo del 20 ottobre 2006 tra il Consiglio federale svizzero e il Governo della Repubblica Italiana sull'importazione e il rimpatrio di beni culturali, entrato in vigore mediante scambio di note il 27 aprile 2008 (RS 0.444.145.41; in seguito: Accordo bilaterale). Alle questioni che il prevalente diritto internazionale non regola espressamente o implicitamente, come pure quando il diritto nazionale sia più favorevole all'assistenza rispetto a quello convenzionale (cosiddetto principio di favore), si applicano la legge federale del 20 marzo 1981 sull'assistenza internazionale in materia penale (AIMP; RS 351.1), unitamente all'ordinanza del 24 febbraio 1982 sull'assistenza internazionale in materia penale (OAIMP; RS 351.11; art. 1 cpv. 1 AIMP, art. I n. 2 Accordo italo-svizzero; DTF 142 IV 250 consid. 3 pag. 255; sentenza 1C_271/2016 del 23 marzo 2018 consid. 2.1, in: RtiD 2018 II n. 42 pag. 193). È fatto salvo il rispetto dei diritti fondamentali (DTF 135 IV 212 consid. 2.3 pag. 215).
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Giova rilevare che la Convenzione dell'Unidroit sui beni culturali rubati o illecitamente esportati, conclusa a Roma il 24 giugno 1995, firmata il 26 giugno 1996 dalla Svizzera, che non l'ha tuttavia ratificata, non è applicabile. La Svizzera non ha inoltre firmato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulle infrazioni coinvolgenti i beni culturali adottata a Nicosia il 3 maggio 2017, aperta alla firma dal BGE 145 IV, 294 (298)19 maggio 2017 (serie dei trattati del Consiglio di Europa n° 221), che sostituisce quella di "Delfi" del 23 giugno 1985 (n° 119).
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2.2 L'assistenza giudiziaria consistente in una misura coercitiva è concessa solo se il fatto che ha dato origine alla commissione rogatoria è punibile secondo il diritto dei due Stati, come previsto dall'art. 5 par. 1 lett. a CEAG e dalla relativa riserva formulata dalla Svizzera, dall'art. X dell'Accordo italo-svizzero che completa la CEAG nonché dall'art. 64 cpv. 1 AIMP, secondo cui possono essere ordinati provvedimenti coercitivi soltanto ove dall'esposizione dei fatti risulti che l'atto perseguito all'estero denota gli elementi obiettivi di una fattispecie punibile secondo il diritto svizzero. Nell'ambito dell'esame della doppia punibilità, il giudice dell'assistenza non deve tuttavia procedere a un esame delle norme penali estere disciplinanti i reati menzionati nella domanda di assistenza, ma semplicemente vagliare, limitandosi a un esame "prima facie", se i fatti addotti nella domanda - effettuata la dovuta trasposizione - sarebbero punibili anche secondo il diritto svizzero, ricordato che la punibilità giusta il diritto elvetico va determinata senza tener conto delle particolari forme di colpa e delle condizioni di punibilità e di repressione da esso previste (DTF 124 II 184 consid. 4b/cc pag. 188; DTF 116 Ib 89 consid. 3c/bb pag. 95).
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Erwägung 3
 
3.1 Secondo l'art. 1 della Convenzione UNESCO sono considerati beni culturali quelli che, a titolo religioso o profano, sono designati da ciascuno Stato come importanti tra l'altro per l'arte e che appartengono a determinate categorie, tra le quali rientrano i beni d'interesse artistico quali quadri, pitture e disegni fatti interamente a mano su qualsiasi supporto e con qualsiasi materiale (lett. g, n. i). L'art. 8 dispone che gli Stati parti della Convenzione s'impegnano a imporre sanzioni penali o amministrative a qualsiasi persona responsabile di un'infrazione ai divieti previsti negli articoli 6 lett. b e 7 lett. b della stessa. L'art. 6 prevede che gli Stati contraenti s'impegnano a istituire un certificato appropriato mediante il quale lo Stato esportatore specifica che l'esportazione del o dei beni culturali in questione è autorizzata: tale certificato deve accompagnare il o i beni culturali regolarmente esportati (lett. a); si impegnano inoltre a proibire l'esportazione dal proprio territorio di quelli non accompagnati dal certificato di esportazione sopra menzionato (lett. b). S'impegnano anche a proibire l'importazione dei beni culturali rubati in un museo o in un monumento pubblico civile o religioso o in una istituzione similare (art. 7 BGE 145 IV, 294 (299)lett. b): quest'ultima fattispecie non è chiaramente realizzata in concreto.
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È pacifico che la Convenzione UNESCO non è applicabile direttamente: per essere attuata, essa obbliga infatti gli Stati contraenti a legiferare e a trasporla nella legislazione nazionale. In Svizzera ciò è avvenuto con l'adozione della legge federale del 20 giugno 2003 sul trasferimento internazionale dei beni culturali (LTBC; RS 444.1; Messaggio del 21 novembre 2001 concernente la Convenzione UNESCO 1970 e la legge federale sul trasferimento internazionale dei beni culturali [LTBC], FF 2002 457, 459, 477 e 485; BU 2003 CN 25; DTF 131 III 418 consid. 3.2.2 pag. 427). Nel citato Messaggio si precisa che fino allora le norme d'esportazione straniere non erano di principio riconosciute in Svizzera, in quanto appartenenti al diritto pubblico di uno Stato estero, motivo per cui nel nostro Paese le pretese di rimpatrio erano praticamente destinate a naufragare (pag. 469).
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1 Salvo che per il reato sia comminata una pena più severa in virtù di un'altra disposizione, è punito con la detenzione fino a un anno o con la multa fino a 100 000 franchi chiunque, intenzionalmente:
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a. importa, vende, distribuisce, procura per mediazione, acquista o esporta beni culturali rubati o andati persi contro la volontà del proprietario;
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b. si appropria di prodotti di scavi ai sensi dell'articolo 724 del Codice civile;
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c. importa illecitamente beni culturali o li dichiara in modo inesatto all'importazione o al transito;
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d. esporta illecitamente o dichiara in modo inesatto all'esportazione beni culturali iscritti nell'Elenco federale.
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2 Chi ha agito per negligenza è punito con la multa fino a 20 000 franchi.
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3 (...)
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Solo i beni culturali di proprietà della Confederazione e d'importanza significativa per il patrimonio culturale svizzero sono iscritti nell'Elenco federale (art. 3 cpv. 1 LTBC): questa iscrizione implica che una loro esportazione definitiva è vietata (art. 3 cpv. 2 lett. c LTBC), mentre quella temporanea è soggetta ad autorizzazione (art. 5 cpv. 1 e 2 lett. a LTBC).
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Secondo l'art. 3 della Convenzione UNESCO sono illeciti l'importazione, l'esportazione e il trasferimento di proprietà di beni culturali BGE 145 IV, 294 (300)effettuati in contrasto con le disposizioni adottate dagli Stati partecipanti in virtù di detta Convenzione. Nel diritto interno, per "importa zione illecita" l'art. 2 cpv. 5 LTBC intende un'importazione che viola una convenzione bilaterale secondo l'art. 7 o un provvedimento limitato nel tempo giusta l'art. 8 cpv. 1 lett. a LTBC. La LTBC non segue infatti il modello canadese, ma quello statunitense, che disciplina i controlli relativi all'importazione sulla base di convenzioni bilaterali (Messaggio, loc. cit., pag. 482 n. 1.6.2.4).
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È pacifico che in caso di infrazione alla LTBC, la Svizzera può concedere assistenza giudiziaria alle autorità estere (art. 23 LTBC).
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Ne segue che, come ancora si vedrà, il diritto internazionale non esplica alcun effetto diretto sulla causa in esame.
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Erwägung 4
 
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Il TPF non ha ritenuto, rettamente, la doppia punibilità riguardo alla fattispecie d'importazione o esportazione di beni culturali rubati o andati persi contro la volontà del proprietario (art. 24 cpv. 1 lett. a LTBC; anche la fattispecie della lett. b non è chiaramente realizzata). Le disquisizioni della ricorrente al riguardo sono quindi ininfluenti.
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BGE 145 IV, 294 (301)Ha per contro stabilito che se trasposti nel diritto svizzero i citati fatti sarebbero sussumibili al reato previsto dall'art. 24 LTBC, senza tuttavia esprimersi specificatamente sulla portata, decisiva, operata da tale norma circa la differenza tra l'importazione illecita, riferita a tutti i beni culturali (cpv. 1 lett. c), e la loro esportazione, espressamente limitata a quelli iscritti nell'Elenco federale (lett. d). Ha rilevato che in quest'ambito la dottrina, citando nondimeno al riguardo un solo autore, afferma che grazie a questa nuova normativa la condizione della doppia punibilità sarebbe soddisfatta anche qualora i fatti alla base della rogatoria si riferirebbero unicamente a esportazioni o importazioni illecite di beni culturali: per contro, prima dell'entrata in vigore della LTBC, il 1° giugno 2005, se la condizione della doppia punibilità non era adempiuta in relazione a un'altra norma, le autorità svizzere non potevano per esempio dare seguito positivo a una domanda estera con la quale veniva chiesto il sequestro di un bene culturale la cui esportazione era vietata nello Stato richiedente, ma che era stato nondimeno esportato illegalmente in Svizzera o in un altro Stato (GIORGIO BOMIO, L'entraide internationale et les biens culturels, in: L'entraide judiciaire internationale dans le domaine des biens culturels, 2011, pag. 23 segg., 26 seg.).
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Ha aggiunto che la LTBC trae le proprie origini anche dall'art. 6b della Convenzione UNESCO, secondo cui gli Stati contraenti s'impegnano a istituire un certificato appropriato e a proibire l'esportazione dei beni culturali che non ne sono accompagnati, motivo per cui già il solo fatto di non dichiarare in Svizzera l'esportazione di un bene culturale, e quindi di non disporre del relativo certificato d'esportazione, violerebbe detta normativa, motivo per cui il requisito della doppia punibilità sarebbe adempiuto. Con quest'argomentazione il TPF disattende che la Convenzione non è direttamente applicabile e che, inoltre, l'esportazione dalla Svizzera concerne solo beni culturali iscritti nell'Elenco federale, condizione non adempiuta per il dipinto in esame, appartenente alla ricorrente e non allo Stato richiedente, che non ha addotto che l'opera litigiosa figurerebbe in un inventario italiano.
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Il TPF si è poi pronunciato con un'ulteriore sentenza del 4 febbraio 2019, non impugnata e passata quindi in giudicato, su un caso analogo, concedendo anche in quella causa l'assistenza, tuttavia con una motivazione differente, più articolata ma che per i motivi di cui si dirà non potrebbe essere seguita (RR.2018.214).
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BGE 145 IV, 294 (302)4.2 La ricorrente sottolinea che l'autorità estera riconosce che il dipinto è di sua esclusiva proprietà. Adduce ch'esso apparterrebbe alla sua famiglia da oltre cento anni e che si troverebbe in Svizzera da decenni; i tribunali italiani non ne avrebbero ritenuto un'origine criminosa, accertando solo il reato di esportazione illegale dall'Italia, l'iniziale ipotesi di reato di associazione a delinquere essendo decaduta. Sostiene che l'art. 24 cpv. 1 lett. d LTBC non potrebbe essere violato, poiché l'opera non è un bene culturale iscritto nell'Elenco federale, ma appartenente a un privato, la cui esportazione sarebbe libera. Fa valere che il requisito della doppia punibilità non sarebbe adempiuto, perché punibile secondo il diritto svizzero può essere solo l'esportazione del dipinto, non la sua importazione.
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Nelle osservazioni l'Ufficio federale di giustizia (UFG) ritiene che sarebbe applicabile l'art. 24 LTBC.
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L'Ufficio federale della cultura (UFC) osserva che poiché la Convenzione UNESCO non è direttamente applicabile, come non lo è neppure l'Accordo italo-svizzero, le basi legali determinanti sono la LTBC e la relativa ordinanza. Nell'ipotesi dell'autenticità del dipinto, esso rientrerebbe quale bene d'interesse artistico nella categoria dell'art. 1 lett. g della Convenzione UNESCO costituendo quindi un bene culturale ai sensi dell'art. 2 cpv. 1 LTBC. In tal caso, l'opera avrebbe dovuto fare l'oggetto di una dichiarazione doganale, indipendentemente dalla sussistenza di un accordo bilaterale (art. 19 LTBC in relazione con l'art. 25 cpv. 2 dell'ordinanza del 13 aprile 2005 sul trasferimento internazionale dei beni culturali [OTBC; RS 444.11]). Sottolinea che anche una mancata dichiarazione, che impedisce l'esame di un bene culturale, sarebbe punibile ai sensi dell'art. 24 cpv. 1 lett. c LTBC relativo all'importazione illecita (al riguardo cfr. SIMONE BRATSCHI, Die Strafbestimmungen des Kulturgütertransfergesetzes, 2013, n. 212 pag. 87).
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4.4 Riguardo all'autenticità del dipinto, quesito sul quale il TPF non si è soffermato e che per la ricorrente non dovrebbe essere rilevante BGE 145 IV, 294 (303)per il presente giudizio, ella ammette che per lo Stato richiedente l'autenticità non è controversa (sul tema cfr. BEAT SCHÖNENBERGER, Picasso Revisited? Unechte Kunstwerke und das Kulturgütertransfergesetz, in: Festschrift für Ingeborg Schwenzer zum 60. Geburtstag, 2011, pag. 1541 segg., 1546 e 1553). Nella duplica afferma che l'autenticità non sarebbe per nulla dimostrata, senza spiegare perché questa tesi non è stata seguita dai tribunali italiani. Sia come sia, non spetta al Tribunale federale esprimersi al riguardo.
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Del resto, nel decreto che dispone il giudizio del 16 giugno 2016 del Giudice per l'udienza preliminare si rileva che il condannato B., avvocato del foro di Pesaro, aveva commissionato anche la realizzazione di una copia del dipinto litigioso, realizzata nel 2013 e poi trasferita presso uno studio legale luganese. Nella sentenza di condanna del 9 marzo 2017 del Tribunale di Pesaro è stato accertato che il 16 agosto 2013 B. è stato controllato dall'Ufficio dogane di Como su un treno in arrivo da Lugano: è stato trovato in possesso di uno scritto con il quale conferiva a un terzo il mandato di vendere l'opera litigiosa al prezzo minimo di Euro 95.000.000.-. Questi indizi militano a favore della verosimiglianza dell'autenticità del dipinto o comunque di una sua importanza significativa. La ricorrente rileva inoltre che intenderebbe presentare una domanda di revisione del giudizio di condanna italiano: in quell'ambito ella potrà sollevare nuovamente anche questo quesito.
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4.5 Nel caso in esame non occorre vagliare la censura dell'asserita carenza di proporzionalità della confisca poiché il dipinto si sarebbe trovato da decenni in Svizzera, tesi ripresa a torto dal TPF. Secondo la sentenza di condanna italiana l'8 marzo 2010 il dipinto si sarebbe infatti trovato in Italia per accertamenti circa la sua compatibilità con un'attribuzione leonardesca, e vi si trovava anche anteriormente, segnatamente nell'abitazione di E. A. prima e in quella di A. A. poi. La questione non è in effetti decisiva, ritenuto che per importazione ed esportazione si intende il trasporto di merce attraverso il confine svizzero rispettivamente il territorio doganale estero (art. 1 lett. a, art. 6 lett. g e h della legge federale del 18 marzo 2005 sulle dogane [RS 631.0]; DTF 119 IV 81 consid. 3b pag. 83; Messaggio, loc. cit., pag. 521).
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Erwägung 5
 
5.1 La ricorrente in Italia è stata condannata per l'esportazione del dipinto; sotto il profilo della doppia punibilità, unico quesito litigioso, BGE 145 IV, 294 (304)fatta la dovuta trasposizione, occorre esaminare quindi se si sarebbe in presenza di una sua esportazione illecita dalla Svizzera.
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Ora, in Svizzera l'esportazione sarebbe punibile unicamente qualora, secondo la chiara volontà del Legislatore federale, il dipinto fosse iscritto nell'Elenco federale (art. 24 cpv. 1 lett. d LTBC). Una siffatta iscrizione comporta tra l'altro che questi beni non possono essere acquistati né per usucapione né in buona fede e che la loro esportazione definitiva dalla Svizzera è vietata (art. 3 cpv. 2 lett. a e c LTBC, quella temporanea essendo soggetta ad autorizzazione, art. 5 LTBC). La costituzione di inventari nazionali relativi a beni culturali importanti pubblici e privati, la cui esportazione costituirebbe un impoverimento sensibile del patrimonio culturale nazionale, deriva infatti da un impegno imposto dalla Convenzione UNESCO (art. 5 lett. b). L'Elenco concerne i beni culturali di proprietà della Confederazione e, cumulativamente e non alternativamente, d'importanza significativa per il patrimonio culturale (art. 3 cpv. 1 LTBC). Ora, se quest'ultima condizione potrebbe essere adempiuta dal dipinto in esame, non lo è manifestamente la prima, requisito decisivo. Il dipinto litigioso non appartiene infatti allo Stato richiedente né è stato addotto che, conformemente all'art. 5 lett. b Convenzione UNESCO, sarebbe iscritto in un inventario italiano o che si intenderebbe iscrivervelo. Sotto il profilo della doppia punibilità occorre infatti fare astrazione, come per esempio nell'ambito della corruzione di un funzionario, dal quesito della nazionalità (DTF 132 II 81 consid. 2.7.2 e 2.7.3 pag. 90 seg.; DTF 129 II 462 consid. 4.4 pag. 465). Il dipinto litigioso non deve quindi chiaramente figurare in un inventario svizzero, ma italiano. In presenza di un bene culturale iscritto in un inventario la questione della proprietà, statale o privata, dello stesso non parrebbe costituire di per sé un elemento decisivo sotto il profilo della doppia punibilità, ritenuto inoltre che, sempreché i privati ne diano il loro consenso, anche beni di loro proprietà possono essere per esempio iscritti negli elenchi dei Cantoni (art. 4 cpv. 1 lett. b LTBC; vedi MARIE BOILLAT, Trafic illicite de biens culturels et coopération judiciaire internationale en matière pénale, 2012, n. 802 pag. 232).
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Il requisito dell'iscrizione in un elenco non si riferisce del resto a un mero elemento soggettivo o a una particolare forma di colpa, del quale si potrebbe fare astrazione nell'ambito dell'esame della doppia punibilità, come parrebbe aver ritenuto il TPF, ma concerne un elemento oggettivo (in questo senso anche BOILLAT, loc. cit, n. 561 pag. 166; in generale su questo tema vedi DTF 112 Ib 576 BGE 145 IV, 294 (305)consid.11b/bb pag. 594; cfr. ROBERT ZIMMERMANN, La coopération judiciaire internationale en matière pénale, 5a ed., 2019, n. 577 segg. pag. 619 segg., in particolare n. 585 pag. 626 seg.; MARIA LUDWICZAK GLASSEY, Entraide judiciaire internationale en matière pénale, 2018, n. 429-434 pag. 95 seg.). L'autorità elvetica adita con una rogatoria internazionale, quando esamina la punibilità dei fatti secondo il diritto svizzero, non può infatti interpretare in maniera più estesa le norme applicabili di quanto non lo farebbe il giudice penale nazionale, poiché anch'essa deve applicare allo stesso modo le regole di interpretazione valide in ambito penale (sentenza 1A.325/2000 del 5 marzo 2001 consid. 3).
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In effetti, allo scopo di proteggere i propri beni culturali contro l'importazione e l'esportazione e la trasmissione di proprietà illecite, gli Stati contraenti si impegnano a costituire, sulla base di un inventario nazionale di protezione, la lista dei beni culturali importanti pubblici e privati, la cui esportazione costituirebbe un impoverimento sensibile del patrimonio culturale nazionale (art. 5 lett. b Convenzione UNESCO). È quindi a ragione che BOILLAT precisa che l'iscrizione in un registro potrebbe costituire l'elemento determinante nel giudizio sulla concessione dell'assistenza. Ne deduce che, pertanto, l'esigenza di un'autorizzazione, senza l'iscrizione in un inventario, non adempie tutte le condizioni oggettive previste dall'art. 24 cpv. 1 lett. d LTBC (loc. cit., n. 565-572 pag. 167 segg.). L'assistenza giudiziaria potrebbe quindi essere concessa solo qualora si trattasse dell'esportazione di un bene culturale specifico protetto da una norma simile a quella dell'art. 3 LTBC e quindi iscritto in un inventario (BOILLAT, loc. cit., n. 558 seg. pag. 165).
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L'opinione dottrinale richiamata nella sentenza impugnata non è decisiva, visto che, rinviando in maniera generica all'art. 24 LTBC, non si esprime sulle chiare differenze sostanziali operate dal Legislatore federale (nello stesso generico senso vedi RASCHÈR/BOMIO, Strafen und Rechtshilfe, in: Kultur Kunst Recht, 2009, pag. 367 segg., n. 474 pag. 380; GIORGIO BOMIO, Le rôle de l'entraide pénale internationale dans le domaine des biens culturels, in: Criminalité, blanchiment et nouvelles réglementations en matière de transfert de biens culturels, 2006, pag. 101 segg., 104 e 116; altri autori accennano alla LTBC senza esprimersi oltre, NADJA CAPUS, Strafrecht und Souveränität: Das Erfordernis der beidseitigen Strafbarkeit in der internationalen Rechtshilfe in Strafsachen, 2010, pag. 476; ZIMMERMANN, loc. cit., n. 178 pag. 186, n. 323 pag. 345, n. 610 pag. 659 che indica la decisione impugnata del TPF).
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BGE 145 IV, 294 (306)Occorre rilevare che, per contro, la punibilità dell'importazione di beni culturali in Svizzera non si riferisce a quelli iscritti in un inventario, ma unicamente a quelli importati "illecitamente", nozione di cui ancora si dirà (art. 24 cpv. 1 lett. c LTBC). In quest'ambito il Consiglio federale, per salvaguardare gli interessi di politica culturale e di politica estera, ha scelto di concludere specifici accordi internazionali (convenzioni ai sensi dell'art. 7 LTBC). Come visto, quello concluso con l'Italia include tra l'altro elementi architettonici e decorativi dall'anno 1000 a.C. al 1500 d.C. e la pittura murale dal 700 a.C al 1500 d.C., ma non i dipinti, per cui non è applicabile.
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5.2 Nel Messaggio del Consiglio federale concernente la LTBC non vi sono particolari spiegazioni sulla portata e sulle citate differenziazioni istituite all'art. 24 lett. c e d della stessa (pag. 521 seg.). Certo, è comprensibile che si intenda vietare e punire l'esportazione definitiva di beni culturali appartenenti alla Confederazione e d'importanza significativa per il patrimonio culturale e quindi iscritti nell'Elenco federale, come pure l'importazione "illecita" di tali beni, ossia qualora sia violata una convenzione bilaterale o un provvedimento che la limiti nel tempo (art. 2 cpv. 5 LTBC). Dai materiali legislativi si evince che nel quadro dei dibattiti parlamentari l'art. 24 è stato approvato senza discussione, tranne riguardo allo stralcio della lett. e relativo alla commissione del reato nell'ambito del commercio d'arte e di aste pubbliche e alla riduzione dell'importo della multa da CHF 40'000.- a 20'000.- in caso di negligenza (BU 2003 CN 47; 2003 CS 549, 556). Si sottolinea nondimeno che scopo della LTBC è anche di far fronte all'aumento di rogatorie estere relative a beni culturali rubati o esportati illegalmente promuovendo la cooperazione internazionale (BU 2003 CN 24 seg., 28; 2003 CS 547).
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5.3 Riguardo alla LTBC, nella dottrina si evidenzia l'assenza di interesse per la Svizzera di adottare una normativa federale volta a limitare l'esportazione dei suoi beni culturali, essendo più uno Stato importatore di beni culturali stranieri che esportatore di quelli di origine elvetica: si rileva nondimeno che la questione è differente riguardo alla sua collaborazione alla tutela del patrimonio culturale di Stati esteri (al riguardo e sul progetto della LTBC vedi BYRNE-SUTTON/RENOLD, Rôle et contenu d'une nouvelle réglementation suisse en matière de circulation des biens culturels, in: La réglementation suisse de l'importation et de l'exportation des biens culturels, 1994, pag. 15 segg., 18, 21 e 23: critica riguardo alla LTCB, URSULA CASSANI, Les infractions à la loi fédérale sur le transfert international des biens BGE 145 IV, 294 (307)culturels à l'épreuve des principes fondamentaux du droit pénal, in: Criminalité, blanchiment et nouvelles réglementations en matière de transfert de biens culturels, 2006, pag. 43 segg.).
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Con particolare riferimento all'Italia, nella dottrina si osserva che gli Stati "esportatori" di beni culturali importanti dispongono di un patrimonio culturale relativo alla storia dell'arte molto significativo, che si trova spesso in uno stato di deperimento, mentre in quelli "importatori" confluiscono i beni culturali esteri. Questa differenza spiega l'approccio protezionistico delle norme nazionali e delle normative tipiche dei Paesi esportatori, per rapporto all'aspetto liberale di quelle degli Stati importatori (VITULIA IVONE, Die Umsetzung des UNESCO- Übereinkommens von 1970 in Italien, in: Kulturgüterschutz - Künstlerschutz, 2009, pag. 107 segg., 108: il saggio illustra anche il D. L. 22 gennaio 2004 n. 42).
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Nella dottrina, richiamando la predetta sentenza, si insiste, con motivazioni differenziate, sul fatto che - qualora non siano integrati in un accordo bilaterale - divieti nazionali esteri di esportazione (come il D. L. 22 gennaio 2004 n. 42 oggetto della sentenza di condanna italiana), a causa del loro carattere di diritto pubblico interno, non devono di massima essere applicati o eseguiti in Svizzera. In assenza di un accordo bilaterale che comprenda anche i dipinti, esclusione deliberatamente voluta dai due Stati contraenti, l'opera litigiosa non è oggetto di alcuna norma internazionale che ne limiti l'esportazione, motivo per cui non poteva neppure essere importata illecitamente in Svizzera ai sensi dell'art. 2 cpv. 5 LTBC (in questo senso, tra altri: BOILLAT, loc. cit., n. 546-550 pag. 162 seg.; GABUS/RENOLD, Commentaire LTBC, 2006, n. 29 ad art. 24 LTBC pag. 252; BRATSCHI, loc. cit., pag. 83 seg., 86; KURT SIEHR, Das Sachenrecht der Kulturgüter: Kulturgütertransfergesetz und das schweizerische Sachenrecht, in: Festschrift für Heinz Rey zum 60. Geburtstag, 2003, pag. 127 segg., 137;
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BGE 145 IV, 294 (308)MARC WEBER, Bundesgesetz über den internationalen Kulturgütertransfer, RDS 123/2 2004 I pag. 495 segg., 498, 526 n. 1 e 2; MARK A. REUTTER, Internationaler Kulturgüterschutz - Neuerungen für die Schweiz unter dem Kulturgütertransfergesetz, in: Entertainment Law, 2006, pag. 271 segg., 280, 287, 293, in particolare pag. 299 e 301; cfr. anche OLIVIER MOSIMANN, Vereinbart oder fremdbestimmt? Die Berücksichtigung von Einschränkungen des internationalen Kunsthandels durch Drittrechtsordnungen vor Schweizer Gerichten und Schiedsgerichten, Kunst & Recht 2017 pag. 87 segg., 96 segg.).
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MARC-ANDRÉ RENOLD precisa in effetti a ragione che l'Accordo bilaterale con l'Italia non include l'insieme dell'arte del Rinascimento, del Seicento, di quella barocca ecc., né l'arte moderna e contemporanea: ciò perché lo scopo del trasferimento illegale di beni culturali, che dev'essere combattuto, si riferisce al commercio illegale di antichità e, in particolare, di reperti archeologici. Ne deduce che, sebbene gran parte delle norme della LTBC siano nondimeno applicabili, in assenza di convenzioni bilaterali, non lo sono quelle concernenti l'importazione illegale in Svizzera. Riguardo all'applicazione dell'art. 24 cpv. 1 lett. c LTBC egli sottolinea, rettamente, che non si tratta infatti di una qualsiasi importazione illecita, ma di una ai sensi dell'art. 2 cpv. 5 LTBC, ossia di un'importazione che viola una convenzione bilaterale giusta l'art. 7 LTBC (Die Umsetzung des UNESCO-Übereinkommens von 1970 in der Schweiz: Das Beispiel der bilateralen internationalen Vereinbarungen, in: Kulturgüterschutz - Künstlerschutz, 2009, pag. 97 segg., 100, 102 e 104; della stessa opinione KURT SIEHR, Das Kulturgütertransfergesetz der Schweiz aus der Sicht des Auslandes, AJP 2005 pag. 675 segg., 677, secondo il quale il D. L. 22 gennaio 2004 n. 42, che non richiama la Convenzione UNESCO, non è applicabile e BOILLAT, loc. cit., n. 834 pag. 239 e n. 979 pag. 276). Inoltre, per la Convenzione UNESCO, comunque non direttamente applicabile, illeciti sono considerati il trasferimento di proprietà, condizione questa non adempiuta in concreto, nonché l'importazione e l'esportazione illecite di beni culturali in contrasto con le norme adottate dagli Stati partecipanti in virtù della Convenzione, ciò che, come ancora si vedrà, non è il caso per il D. L. 22 gennaio 2004 n. 42.
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ALEXANDER JOLLES sottolinea che "illegale" in numerosi casi non significa "rubato", ma trasferito all'estero da parte del suo legittimo proprietario, tuttavia in violazione di norme che vietano o limitano l'esportazione, disposizioni che a volte appaiono legittime, a volte assurde. Adduce che la Svizzera può sostenere uno Stato estero ad BGE 145 IV, 294 (309)imporre le proprie leggi, ma unicamente nella misura in cui, dal profilo della Svizzera, queste appaiano come legittime: affinché le due parti sappiano cosa sembri legittimo per la Svizzera, occorre concludere un accordo bilaterale con lo Stato di origine del bene culturale interessato, nel quale vengano indicati quali divieti di esportazione concernenti quali oggetti siano riconosciuti e rispettati dalla Svizzera. La LTBC non riconosce infatti divieti globali di esportazione, partendo dal presupposto che lo scambio di beni culturali al di là delle frontiere è di massima ammissibile e che non dev'essere ostacolato con divieti di esportazione (Das Kulturgütertransfergesetz und die Verordnung 2005 in der Praxis, in: Neuigkeiten im Kunstrecht, 2008, pag. 141 segg., 143 seg.).
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Ora, la confisca litigiosa non si fonda sull'Accordo bilaterale con l'Italia, ma unicamente sul D. L. 22 gennaio 2004 n. 42, ossia il "Codice italiano dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137", normativa non indicata nell'Accordo bilaterale e che non si fonda di massima sulla Convenzione UNESCO. Questo Codice, dichiara soggetta ad autorizzazione l'uscita definitiva "delle cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni" (art. 65 comma 3 lett. a); l'art. 174 comma 1 dispone tra l'altro che chiunque trasferisce all'estero "cose di interesse artistico" senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione è punito con la reclusione da uno a quattro anni o con la multa da euro 258 a euro 5'165. La violazione di questa norma del diritto pubblico interno straniero non implica di per sé la concessione dell'assistenza (in questo senso BOILLAT, loc. cit., n. 805 pag. 232).
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BEAT SCHÖNENBERGER afferma che non vi è alcun caso dove un bene culturale sarebbe stato restituito nell'ambito dell'assistenza giudiziaria internazionale sulla base di una semplice violazione di un divieto di esportazione estero; trattandosi dell'applicazione del diritto pubblico straniero, la debole posizione di mere norme di esportazione nell'ambito della loro esecuzione a livello internazionale si manifesta quindi anche in relazione all'assistenza internazionale (Restitution von Kulturgut, 2009, pag.167; anche SIEHR, AJP 2005 pag. 677 sostiene che il D. L. 22 gennaio 2004 n. 42, che non richiama la Convenzione UNESCO, non è applicabile).
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Per di più, l'art. 1 lett. f OTBC definisce la nozione di "trasferimento" di un bene culturale quale negozio giuridico "oneroso" nel commercio
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BGE 145 IV, 294 (310)d'arte o nelle aste pubbliche per mezzo del quale una persona ottiene la proprietà di un bene culturale. La dottrina ne deduce che questa nozione dev'essere quindi intesa in maniera restrittiva (GABUS/RENOLD, loc. cit., n. 11 ad art. 24 LTBC pag. 248). Nella fattispecie, qualora si volesse seguire questa definizione, non si sarebbe neppure in presenza di un siffatto trasferimento.
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Erwägung 6
 
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Come visto, l'art. 24 cpv. 1 lett. c LTBC punisce infatti unicamente l'importazione illecita di beni culturali o una loro dichiarazione inesatta all'importazione. Ora, come visto, per "importazione illecita" s'intende, in maniera restrittiva, un'importazione che violi una convenzione secondo l'art. 7 o un provvedimento limitato nel tempo secondo l'art. 8 cpv. 1 lett. a LTBC (art. 2 cpv. 5 LTBC), condizioni non adempiute nel caso in esame. Secondo la chiara volontà del Legislatore federale, l'art. 24 cpv. 1 lett. c LTBC non permette quindi, se il bene non è incluso in un accordo, di reprimere una sua importazione in Svizzera. Certo, anche la dichiarazione inesatta, o la mancata dichiarazione all'importazione è punibile (BRATSCHI, loc. cit., pag. 87, con riferimento tuttavia alla dichiarazione doganale dell'art. 25 OTBC): deve trattarsi nondimeno di un bene oggetto di un accordo bilaterale (BOILLAT precisa che, in caso contrario, ogni importazione di un bene culturale, la cui dichiarazione doganale fosse inesatta, potrebbe essere costitutiva di un reato penale: ciò estenderebbe il campo di applicazione della LTBC oltre la volontà del legislatore, che ha inteso controllare soltanto l'importazione dei beni oggetto di un accordo e non di ogni bene culturale protetto da una qualsiasi normativa estera che ne disciplini l'esportazione, [loc. cit., n. 548 seg. pag. 162]).
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6.2 Certo, quando uno Stato estero, legato da una convenzione bilaterale alla Svizzera, esige una licenza per l'esportazione di tali beni, questa dev'essere presentata alle autorità doganali svizzere (art. II cpv. 1 dell'Accordo bilaterale; cfr. BENNO WIDMER, Ein-, Durch- und Ausfuhr von Kunstwerken, Kunst & Recht 2011 pag. 121 segg., 131; cfr. ANDREA F. G. RASCHÈR ET AL., Trasferimento dei beni culturali, 2005, pag. 195 e MARC-ANDRÉ RENOLD, Ist eine Revision des BGE 145 IV, 294 (311) Schweizerischen Kulturgütertransfergesetzes geboten?, Kunst & Recht 2018 pag. 73 segg., 78 e 81 che sottolinea l'importanza di questa legge nell'ambito della cooperazione internazionale). In effetti, secondo l'art. 24 cpv. 3 OTBC se si intendono importare in Svizzera beni culturali oggetto di una convenzione ai sensi dell'art. 7 LTBC, occorre dimostrare alle autorità doganali che le norme per l'esportazione dello Stato estero contraente sono state rispettate, se del caso presentando l'autorizzazione da esso imposta. Questa condizione non è tuttavia realizzata nella fattispecie, il dipinto non essendo oggetto dell'Accordo bilaterale. Come visto, per l'art. 2 cpv. 5 LTBC non si è in presenza di un'importazione illecita quando l'importazione non viola un accordo, ma unicamente una normativa straniera sull'esportazione di beni culturali, una siffatta importazione non essendo a priori ritenuta illecita dal diritto svizzero. L'art. 7 cpv. 2 lett. a LTBC dispone infatti che il bene culturale oggetto di un accordo bilaterale deve rivestire una "importanza significativa" per il patrimonio culturale dello Stato contraente: deve trattarsi quindi di beni di una importanza particolare, quelli inseriti in un accordo essendo automaticamente ritenuti come tali (BOILLAT, loc. cit., n. 341 pag. 101, n. 348, 350 e 352 pag. 102 seg., n. 524 seg. pag. 156, n. 571 pag. 169). Anche la dichiarazione doganale (art. 25 OTBC in relazione all'art. 19 LTBC), alla quale accenna genericamente la decisione impugnata, si riferisce all'autorizzazione eventualmente necessaria ai sensi dell'art. 24 OTBC (art. 25 cpv. 3 OTBC).
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Nella lotta contro le esportazioni e le importazioni illegali di beni culturali e il loro rimpatrio e nel campo dell'assistenza internazionale, il Legislatore svizzero ha scelto infatti espressamente di fondarsi sulla conclusione di accordi bilaterali, che dovrebbero tener conto delle specificità dei differenti Stati contraenti: queste convenzioni sono nondimeno raramente utilizzabili riguardo a beni culturali generici, quella con l'Italia essendo limitata ai beni culturali fino al 1500 d.C. (vedi BOILLAT, che propone di estendere il campo di applicazione degli accordi, non limitandoli ai beni archeologici e della preistoria, n. 798 seg. pag. 231, n. 818 pag. 235, n. 898 segg. pag. 258 segg. e n. 923 pag. 263, n. 930 e 933 segg. pag. 265 seg., n. 979 pag. 276).
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Ne segue che, viste le specificità del caso in esame, la condizione della doppia punibilità non è adempiuta, motivo per cui la rogatoria non può essere accolta e alla domanda di confisca non può essere dato seguito.
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