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Informationen zum Dokument  BGE 116 III 82  Materielle Begründung
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Regeste
Sachverhalt
Dai considerandi:
2. Gli art. 106 segg. LEF, cui rinvia l'art. 275 LEF, impongono a ...
3. In concreto l'Ufficio di esecuzione ha sequestrato il saldo (F ...
4. La ricorrente chiede che la Camera delle esecuzioni e dei fall ...
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18. Estratto della sentenza 1o giugno 1990 della Camera delle esecuzioni e dei fallimenti nella causa X contro banca Z (ricorso)
 
 
Regeste
 
Pfandansprache auf ein Bank-Kontokorrent: Fristansetzung zur gerichtlichen Klage (Art. 106 ff. SchKG).  
 
Sachverhalt
 
BGE 116 III, 82 (82)A.- Il Pretore del Distretto di Lugano, Sezione 4, ha decretato il 26 gennaio 1990, su istanza di X, un sequestro di Fr. 200'000.-- più interessi a carico di Y, risiedente allora a San José (Costa Rica). Causa del sequestro era l'art. 271 cpv. 1 n. 4 LEF (debitore dimorante all'estero). L'Ufficio esecuzione e fallimenti di Lugano, Circondario 1, ha dato seguito al decreto in due riprese, il 26 e 29 gennaio 1990, sequestrando tra l'altro un conto corrente del debitore presso la banca Z di Lugano. Dopo averne preso nota, il 5 febbraio 1990 la banca ha comunicato all'Ufficio che il conto BGE 116 III, 82 (83)in questione presentava al momento del sequestro un saldo attivo di Fr. 23'971.57, ma ch'essa faceva valere un diritto di pegno per interessi ipotecari e ammortamenti dovuti dal correntista; dedotto il totale di questi ultimi, il saldo denunciava un passivo di Fr. 18'347.18.
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B.- Il 20 febbraio 1990 l'Ufficio di esecuzione ha assegnato a X un termine di dieci giorni per agire giudizialmente contro la banca (art. 109 LEF). X è insorta il 22 febbraio 1990 alla Camera di esecuzione e fallimenti del Tribunale di appello del Cantone Ticino, autorità di vigilanza, chiedendo che il termine di dieci giorni fosse impartito alla banca, non a lei stessa (art. 107 cpv. 1 LEF). Con sentenza del 25 aprile 1990 la corte ha respinto il reclamo.
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C.- X ha introdotto il 30 aprile 1990 un ricorso alla Camera delle esecuzioni e dei fallimenti del Tribunale federale riproponendo la stessa conclusione formulata in sede di reclamo. Il Tribunale federale ha parzialmente accolto il ricorso e rinviato la causa all'autorità di vigilanza per nuovo giudizio nel senso dei considerandi.
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Dai considerandi:
 
2. Gli art. 106 segg. LEF, cui rinvia l'art. 275 LEF, impongono all'Ufficio di dar luogo alla procedura di rivendicazione quando il debitore sostenga che l'oggetto pignorato (o sequestrato) sia proprietà o pegno di un terzo, oppure quando un terzo rivendichi un diritto di proprietà o di pegno sull'oggetto stesso. Se l'oggetto è in possesso del debitore, spetta al terzo rivendicante intentare azione (art. 106 e 107 LEF); se invece l'oggetto è in possesso del terzo, spetta al creditore procedere in tal senso (art. 109 LEF). Un credito ordinario (cioè non incorporato in una cartavalore) non è un "oggetto"; secondo giurisprudenza nondimeno gli art. 106 segg. LEF si applicano, per analogia, anche ove l'Ufficio pignori (o sequestri) un credito di cui un terzo pretenda essere titolare (DTF 88 III 115 consid. 1). In questo caso la nozione di possesso è supplita da quella di migliore verosimiglianza: se la posizione del terzo rivendicante appare provvista di maggior fondamento rispetto a quella del debitore, incombe al creditore promuovere azione; nell'ipotesi contraria il termine per agire va assegnato al terzo (DTF 97 III 64 consid. 1, DTF 88 III 57 consid. 1). I criteri BGE 116 III, 82 (84)del possesso, rispettivamente della migliore verosimiglianza, valgono solo per definire il ruolo delle parti nella causa di rivendicazione: l'onere della prova rimane invariato (art. 8 CC; DTF 88 III 127).
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3. In concreto l'Ufficio di esecuzione ha sequestrato il saldo (Fr. 23'971.57) di un conto corrente bancario. Su quest'ultimo la banca ha rivendicato un diritto di pegno in base a un "atto di pegno generale", firmato - a suo dire - dal cliente il 20 ottobre 1988. La corte cantonale ha ritenuto che ciò bastasse per costringere la creditrice ad agire in giudizio (art. 109 LEF). Disconosce però che la rivendicante non fa valere un diritto di pegno su un oggetto in suo possesso - come poteva essere un deposito, una cauzione o una garanzia - ma sul saldo di un conto corrente, che è un credito ordinario del titolare (v. art. 117 cpv. 2 CO; GUGGENHEIM, Les contrats de la pratique bancaire suisse, 2a edizione, pag. 252; OFTINGER/BÄR in: Zürcher Kommentar, 3a edizione, nota 80 ad art. 899 CC). E siccome ai crediti ordinari si applica - come detto - la nozione di "migliore verosimiglianza", il problema di sapere a chi vada assegnato il termine per adire il giudice con la causa di rivendicazione secondo gli art. 106 segg. LEF dipende dalla maggiore o minore plausibilità del diritto avanzato dalla banca.
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Ora, la banca invoca un "atto di pegno generale" sottoscritto dal correntista il 20 ottobre 1988. Un documento del genere è senza dubbio idoneo a rendere attendibile l'esistenza del pegno (art. 900 cpv. 1 CC). Se non che, esso non è mai stato prodotto dalla banca. Su questo punto la ricorrente ha ragione. Sbaglia invece quando crede che la banca dovesse rendere verosimile anche l'entità della pretesa: chi fa valere un diritto di pegno deve specificare la propria identità, l'oggetto del pegno e l'ammontare del credito (DTF 109 III 57 consid. 4a, DTF 84 III 159 consid. 5). All'Ufficio non compete di giudicare la fondatezza della notifica: deve verificare però chi possegga l'oggetto della rivendicazione, poiché senza tale accertamento non è possibile stabilire a chi vada assegnato il termine degli art. 106 segg. LEF. Nel caso in esame, trattandosi di un credito ordinario e non di un oggetto, l'Ufficio avrebbe dovuto chiarire se il diritto di pegno rivendicato dalla banca appariva verosimile. A questo proposito sarebbe bastato richiamare l'atto di pegno generale menzionato dalla banca; invece l'Ufficio ha assegnato senz'altro alla creditrice il termine per promuovere azione. Tale modo di agire non può essere condiviso.
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BGE 116 III, 82 (85)4. La ricorrente chiede che la Camera delle esecuzioni e dei fallimenti non solo annulli il termine impartitole dall'Ufficio (art. 109 LEF), ma statuisca essa medesima nel merito assegnando alla rivendicante il termine per agire davanti al giudice (art. 107 cpv. 1 LEF). Ciò non è possibile. Come si è spiegato, nella fattispecie manca qualsiasi accertamento che consenta un giudizio sulla verosimiglianza del pegno litigioso: non si può dire pertanto se il ruolo di attore nella causa di rivendicazione incomba alla banca o alla creditrice. Ne segue che la sentenza cantonale dev'essere annullata e gli atti ritornati all'autorità di vigilanza perché inviti la rivendicante - dandosi il caso per il tramite dell'Ufficio - a produrre il contratto di pegno relativo al saldo di conto corrente. In seguito la corte si pronuncerà sulla verosimiglianza del pegno, ossia sull'assegnazione del termine.
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