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Informationen zum Dokument  BGE 103 III 91  Materielle Begründung
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Regeste
Sachverhalt
Considerato in diritto:
1. La consolidata giurisprudenza di questa Camera ha stabilito ch ...
2. Contenzioso è invece se alla richiesta di più pr ...
3. A mente dell'istanza cantonale i mentovati principi giurisprud ...
4. Le censure che l'autorità ticinese di vigilanza muove a ...
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18. Sentenza 7 luglio 1977 in re Credito Svizzero
 
 
Regeste
 
Arrestierung von Bankguthaben - Ersuchen um Auskunfterteilung unter Androhung von Strafsanktionen.  
 
Sachverhalt
 
BGE 103 III, 91 (92)Con decreto 26 agosto 1976 il Pretore della giurisdizione di Lugano-distretto, su istanza della Centrofin S.A., Losanna, ha ordinato all'Ufficio di esecuzione e fallimenti di Lugano, Io circondario, di sequestrare presso il Credito svizzero, Succursale di Lugano, i conti bancari, i titoli e i valori della S.A. Industrias Reunidas F. Matarazzo, San Paolo (Brasile). Il sequestro venne eseguito il giorno successivo e il Credito svizzero si è limitato a prenderne atto. Ad una successiva richiesta del 28 ottobre 1976 l'Ufficio di esecuzione diffidava la banca sequestrata a voler comunicare entro dieci giorni se i beni sequestrati esistessero, se fossero sufficienti a garantire il credito e, in caso parziale fino a che importo. Il Credito svizzero comunicava di non esser disposto a fornire informazioni, sia in senso positivo che in senso negativo. Con lettera 12 novembre 1976 l'Ufficio d'esecuzione diffidava nuovamente la banca a fornire le informazioni richieste; a quest'ultima diffida era associata la comminatoria delle pene previste dall'art. 292 CP.
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Con sentenza 17 maggio 1977 la Camera di esecuzione e fallimenti del Tribunale di appello respingeva un reclamo con cui la banca sequestrata chiedeva lo stralcio della comminatoria delle sanzioni penali.
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La banca sequestrata ha interposto ricorso in questa sede, ribadendo le conclusioni formulate in sede cantonale.
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La Camera di esecuzione e fallimenti del Tribunale federale ha accolto il ricorso.
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Considerato in diritto:
 
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Giusta i combinati disposti di cui agli art. 91 e 275 LEF alle banche incombe comunque un obbligo di informazione allorquando il decreto di sequestro indica i beni sequestrati nel loro genere (DTF 66 III 32, DTF 75 III 109). La ricorrente non contesta, perlomeno esplicitamente, tale principio.
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BGE 103 III, 91 (93)2. Contenzioso è invece se alla richiesta di più precise informazioni circa l'esistenza e l'eventuale entità dei beni sequestrati possa essere associata la comminatoria dell'applicazione delle sanzioni penali previste dall'art. 292 CP contro la ricorrente e se, qualora le informazioni richieste vengano ciononostante rifiutate, l'Ufficio d'esecuzione possa dar seguito a tale comminatoria e denunciare la banca, rispettivamente il suo direttore, all'autorità penale per disobbedienza a tale decisione. La Camera di esecuzione e dei fallimenti del Tribunale federale, nonostante alcune critiche (in particolare HEGETSCHWEILER, Über die Auskunftspflicht der Banken im Arrestverfahren, SJZ 1949, pag. 32 segg.; PERRIN, Les banques dans la procédure de séquestre, SJZ 1950, pag. 187 segg.; SCHAEFER, Das Bankgeheimnis, SJZ 1953, pag. 338) ha sempre ammesso che le autorità di esecuzione debbono decidere esse stesse quale uso fare della possibilità di associare alle proprie decisioni la comminatoria delle sanzioni previste dall'art. 292 CP. In principio esse sono pertanto libere di rinunciare a tale comminatoria qualora ritengano che la disobbedienza alla loro ingiunzione non meriti sanzione (DTF 75 III 110). Secondo la costante prassi di questa Camera è per contro eccessivo, nella procedura del sequestro, associare la comminatoria delle sanzioni penali a una decisione dell'Ufficio di esecuzione che chiede informazioni ad un istituto bancario circa valori patrimoniali posti sotto sequestro ma indicati unicamente nel loro genere. In questo stadio preliminare della procedura d'esecuzione, ove il credito posto in esecuzione deve unicamente essere reso verosimile, la minaccia di sanzioni penali alla banca, rispettivamente ai suoi organi, non è giustificata: ciò tantomeno se si considera che, dal momento in cui le è noto il sequestro, la banca che si spossessasse dei valori depositati incorrerebbe nelle sanzioni comminate dall'art. 169 CP e che, in questo stadio della procedura, il pericolo di un "sequestro investigativo" (Sucharrest) o di un caso di spionaggio bancario è oltremodo serio e non deve essere sottovalutato, per cui si impone un atteggiamento quantomeno cauto da parte degli istituti bancari (cfr. DTF 102 III 8, DTF 75 III 110; SCHAEFER, op.cit. pag. 339; FRITZSCHE, op.cit., pag. 223).
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3. A mente dell'istanza cantonale i mentovati principi giurisprudenziali sarebbero in contrasto con l'obbligo degli uffici di esecuzione di eseguire il sequestro senza esaminare la fondatezza, dal profilo BGE 103 III, 91 (94)materiale, del credito dedotto in esecuzione. Se la comminatoria di sanzioni penali potesse essere associata ad una procedura di sequestro unicamente in presenza di un credito materialmente fondato, ciò implicherebbe un esame in tal senso da parte dell'Ufficio di esecuzione. Mal si vedrebbe comunque, sempre a mente dell'istanza cantonale, perché l'autorità d'esecuzione debba nuovamente riesaminare il grado di verosimiglianza di un credito, dopo che sulla stessa già ebbe a pronunciarsi il giudice del sequestro, per determinarsi circa l'inserimento o meno della comminatoria delle sanzioni previste dall'art. 292 CP nella sua decisione. Né d'altro canto sarebbe giustificato prevedere un esame della fondatezza materiale di un credito posto in esecuzione unicamente qualora il sequestro debba essere eseguito presso istituti bancari, istituti questi cui la legge non conferirebbe privilegi di sorta. D'altro canto, l'Ufficio d'esecuzione dovrebbe poter indicare al creditore sequestrante l'esito del sequestro, segnatamente se esso debba considerarsi favorevole o negativo, onde metterlo nella condizione di poter compiere i successivi atti esecutivi, rispettivamente giudiziari, a convalida del sequestro (art. 278 LEF). Onde poter comunicare al creditore l'esito del sequestro, occorrerebbero però le informazioni della banca e non si vedrebbe perché, sempre a mente dell'istanza cantonale, non possa esser fatto capo alla comminatoria delle sanzioni previste dall'art. 292 CP per costringere gli organi dell'istituto bancario a fornire le informazioni esatte dall'esecuzione del sequestro. La banca, d'altro canto, non violerebbe il segreto bancario qualora comunicasse all'Ufficio d'esecuzione l'esistenza di beni del debitore presso di essa e la circostanza che gli stessi sono sufficienti a garantire il credito dedotto in esecuzione, rispettivamente sino a quale importo: solo informazioni di tale indole permetterebbero infatti l'esecuzione del sequestro e, d'altronde, l'interesse legittimo della creditrice esigerebbe che vengano date all'ufficio d'esecuzione almeno le suddette indicazioni, senza che con ciò debba essere portato a conoscenza del creditore sequestrante la totale consistenza o la natura dei beni del debitore.
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4. Le censure che l'autorità ticinese di vigilanza muove alla linea finora seguita dalla giurisprudenza di questa Camera non sono totalmente destituite di fondamento, tanto più se espresse in una fattispecie in cui, come nella presente, la formulazione alquanto generica delle BGE 103 III, 91 (95)richieste dell'Ufficio d'esecuzione non implica necessariamente che l'istituto bancario abbia a compromettersi più di quel tanto fornendo le informazioni richieste. Oltracciò va aggiunto che, come sostenuto in dottrina da quegli autori che hanno mosso critiche ai citati principi giurisprudenziali (per tutti PERRIN, op.cit. pag. 187/88) non è agevole accettare che l'autorità abbia, per così dire, a capitolare di fronte alla disobbedienza degli istituti bancari. Tali critiche che, come s'è visto, sono indubbiamente di un certo peso, non appaiono tuttavia tali da indurre questa Camera a mutare il corso della sua giurisprudenza in questa materia: altri e validi motivi militano infatti per il mantenimento della linea tracciata e costantemente ribadita. A tale risultato conduce in primo luogo una ponderata valutazione degli opposti interessi in gioco, segnatamente quello del creditore procedente a conoscere dell'esistenza o meno di attivi sufficienti a garantire il vantato credito, e quello contrastante del debitore sequestrato al mantenimento del segreto bancario di cui gode nella sua qualità di cliente dell'istituto di credito. In tale ponderazione degli interessi deve essere posta mente al fatto che, in questo stadio meramente preliminare della procedura esecutiva, il pericolo di spionaggio bancario, operato mediante i cosiddetti sequestri investigatori (cfr. sopra consid. 2) non è ipotetico, ma serio e tangibile, e al fatto che la banca, dopo aver preso conoscenza di un sequestro, risponde comunque civilmente e penalmente qualora avesse a spossessarsi dei beni colpiti dal sequestro (qui giunti, è d'uopo ricordare di transenna che, d'altro canto, nel mondo bancario ogni operazione suscita l'allestimento di scritture, la cui eventuale soppressione o alterazione da un lato difficilmente potrebbe passare inosservata e, dall'altro, se operata, esporrebbe gli organi della banca a ben più gravi conseguenze sia sul piano civile che su quello penale).
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D'altro canto, contrariamente a quanto ritiene l'istanza cantonale, non è vero che l'attuale giurisprudenza del Tribunale federale conduce ad esigere dall'Ufficio d'esecuzione un esame della fondatezza materiale di un credito dopo che il giudice del sequestro già si è pronunciato sulla verosimiglianza dello stesso. L'Ufficio d'esecuzione può e deve infatti limitarsi ad accertare, sulla scorta delle pezze giustificative versate in atti, se la verosimiglianza del credito posto a fondamento del sequestro BGE 103 III, 91 (96)risulta da un titolo esecutivo e non da semplici affermazioni, magari contestate, del creditore procedente. In linea di principio tale accertamento non è tale da presentare insormontabili difficoltà per gli uffici d'esecuzione. Ne consegue che l'attuale giurisprudenza di questa Camera deve essere confermata e precisata nel senso che solo la presenza di un titolo esecutivo costituisce presupposto per associare alle decisioni dell'Ufficio d'esecuzione la comminatoria dell'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 292 CP per disobbedienza a decisioni dell'autorità.
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Nella concreta fattispecie tali presupposti non sono manifestamente adempiuti: per quanto può essere evinto dalle tavole processuali, il credito in garanzia del pagamento del quale la creditrice procedente Centrofin S.A. ha chiesto ed ottenuto il sequestro dei beni di spettanza della S.A. Industrias Reunidas F. Matarazzo depositati presso gli uffici della succursale luganese dell'istituto bancario ricorrente è infatti genericamente fondato su di non meglio precisati "riconoscimenti di debito, estratti, lettere, telex e note di debito". Da tali pezze non può manifestamente essere dedotto che la pretesa di credito vantata dalla creditrice sequestrante sia senza dubbio fondata. In tali circostanze non si giustifica, a' sensi di giurisprudenza, di associare alla richiesta d'informazioni indirizzata dall'Ufficio d'esecuzione al Credito svizzero la comminatoria delle sanzioni previste dall'art. 292 CP. Ciò non implica per la creditrice procedente la perdita di alcunché, in quanto il sequestro da lei richiesto ed ottenuto ha, nonostante il rifiuto del rilascio di precise informazioni da parte della banca, trovato provvisoria esecuzione. È ben vero che così eseguito il sequestro può causare disagio all'Ufficio d'esecuzione, il quale deve pronunciarsi sulla questione se il sequestro è o meno riuscito (DTF 101 III 62). Questa circostanza non giustifica però, da sola, l'abbandono della linea finora tracciata dalla giurisprudenza di questa Camera.
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