BGE 85 II 70
 
14. Estratto della sentenza 27 febbraio 1959 della II Corte civile nella causa S. contro S.
 
Regeste
Ehescheidung, güterrechtliche Auseinandersetzung (Art. 154 ZGB).
 
A differenza del pretore, il Tribunale di appello ha ritenuto che i preziosi custoditi dalla Banca dello Stato non potessero essere riconosciuti proprietà della moglie e ne ha computato il valore di stima, di 9400 fr., nella sostanza coniugale. Esso ha considerato che incombeva alla convenuta provare che detti preziosi le erano stati donati dall'attore, che in concreto tale prova non era stata fornita e che comunque, se donazione vi fosse stata, l'attore era in diritto d'esigere la restituzione dei preziosi perchè la convenuta aveva gravemente contravvenuto, con l'adulterio, ai suoi obblighi di famiglia verso il donante (art. 249 num. 2 CO).
Tale ragionamento non può essere condiviso, già nella misura in cui ha escluso che vi fosse stata donazione dei gioielli. Nella sentenza RU 71 II 255, il Tribunale federale ha bensì detto che, nel caso di coniugi i quali vivono insieme, non torna applicabile la presunzione dell'art. 930 CC che il possessore di una cosa mobile ne è anche il proprietario.
Ciò non significa però che un coniuge, quando si prevale del possesso e dell'uso di una cosa mobile, debba lui medesimo provare in tutti i casi che l'altro gliel'ha donata. In realtà, la donazione può risultare dalle circostanze, per esempio dal fatto che gli oggetti di cui si tratta non furono acquistati da un coniuge per collocare dei capitali e sono per la loro natura destinati all'esclusivo uso dell'altro coniuge. Se queste due condizioni sono adempiute, la presunzione deve essere, in assenza di elementi giustificanti una conclusione diversa, che la consegna degli oggetti è avvenuta a titolo di donazione e non a titolo di semplice comodato, già perchè gli oggetti di cui si tratta corrispondono alla definizione di beni riservati giusta l'art. 191 cp. 1 CC. Nella fattispecie, il Tribunale di appello ha negato che l'attore abbia acquistato gioielli per scopi di tesaurizzazione. Ne segue che l'acquisto dovette necessariamente essere fatto, tenuto conto della natura dei gioielli comperati, per l'esclusivo uso personale della convenuta. Così stando le cose, devesi convenire che, se veramente intendeva affidare i gioielli alla moglie soltanto perchè li portasse in determinate occasioni, l'attore avrebbe dovuto precisare tale circostanza e garantirsi i necessari mezzi di prova già al momento della consegna dei gioielli. Non avendolo fatto, egli non può limitarsi oggi ad affermare che nel suo caso particolare vi sarebbe stato comodato e non donazione. Quanto precede non è inconciliabile con la citata sentenza RU 71 II 255, poichè si trattò allora di decidere se la donazione potesse essere presunta per gioielli di valore che il marito aveva ereditati da sua madre. Una contraddizione è esclusa, tanto più che già in quella sentenza, pur trattandosi di gioielli di famiglia, il Tribunale federale definì dubbia, nella migliore ipotesi, l'opinione che il comodato fosse la regola, per lo meno tra persone use a possedere gioielli di quella natura.
Neppure la tesi del Tribunale di appello, fondata tra l'altro sul parere di KNAPP (Le régime matrimonial de l'union des biens, pag. 292/293), che la convenuta dovrebbe comunque restituire i gioielli in applicazione dell'art. 249 cp. 2 CO può essere condivisa nella fattispecie. Certo, l'obbligo di restituzione è stato sancito, quando la moglie abbia gravemente contravvenuto ai suoi obblighi verso il marito, dalla citata sentenza RU 71 II 255. Ma è già stato detto che quella sentenza concerneva gioielli che il marito aveva ereditati dalla madre. Sarebbe urtante - considerò il Tribunale federale - se gioie di famiglia, che il marito ha affidate alla moglie in certo senso come alla persona che ha preso il posto di sua madre in seno alla famiglia, fossero lasciate alla moglie medesima quando per sua colpa cessa di occupare tale posto. Basta questa citazione a dimostrare che la restituzione dei gioielli fu allora ordinata per motivi del tutto speciali. Riservati tali casi eccezionali, un coniuge non può pretendere, per causa di divorzio, la restituzione dei doni fatti all'altro, quand'anche egli fosse coniuge innocente. In assenza di una prescrizione esplicita del diritto matrimoniale, non è in particolare lecito far riferimento analogetico, per giustificare la restituzione dei doni tra coniugi in caso di divorzio, all'art. 477 CC concernente i motivi di diseredazione. Come il Tribunale federale ha esposto nella sentenza inedita 9 ottobre 1947 relativa alla causa Iseli (consid. 1), non si può infatti presumere che le donazioni tra coniugi siano fatte alla condizione che il matrimonio non sia sciolto per divorzio; tale condizione deve, salvo nei casi speciali come quello della donazione di gioielli di famiglia, essere stata stipulata. In concreto, l'attore non pretende e non ha in ogni modo provato che la restituzione dei gioielli in caso di divorzio fosse stata stipulata, sia pure implicitamente. Di conseguenza, i gioielli vanno riconosciuti proprietà della convenuta, tanto più che il divorzio è stato pronunciato per adulterio di ambedue le parti e l'attore nemmeno può invocare a suo favore di essere coniuge innocente.