BGE 140 II 447
 
40. Estratto della sentenza della II Corte di diritto pubblico nella causa A. Srl contro Dipartimento delle finanze e dell'economia e Consiglio di Stato del Cantone Ticino (ricorso in materia di diritto pubblico)
 
2C_58/2013 dell'11 agosto 2014
 
Regeste
Art. 1 lit. b, Art. 2, 5 Abs. 1, Art. 16 Abs. 1 FZA; Art. 9 Abs. 1 und Art. 17-23 Anhang I FZA; Art. 3 und 5 Richtlinie 96/71/EG; Art. 9 Abs. 2 lit. b EntsG; an ein italienisches Unternehmen wegen Nichteinhaltung von Vorschriften über die Arbeitssicherheit und den Gesundheitsschutz am Arbeitsplatz erteiltes Verbot, während einer Dauer von zwei Jahren und sechs Monaten Dienstleistungen durch entsandte Mitarbeiter in der Schweiz anzubieten.
 
Sachverhalt


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A. La A. Srl, con sede a V. (Italia), si è vista appaltare nel 2011 diversi lavori edili sul cantiere "B. SA" a W., i quali sono poi stati parzialmente subappaltati alla C. Srl, con sede a X. (Italia). Quest'ultima società ha notificato all'autorità competente ticinese nove lavoratori distaccati dal 1° giugno al 1° luglio 2011.
B. Il 15 giugno 2011 è stato effettuato un controllo sul cantiere, durante il quale è apparso che le dovute misure di sicurezza a tutela dei lavoratori non erano state attuate. L'attività sul cantiere è quindi stata sospesa fino all'eliminazione delle carenze riscontrate e il 21 settembre 2011, dopo un iter procedurale che non occorre qui rievocare, la A. Srl si è vista vietare di prestare servizi in Svizzera per un periodo di 4 anni. La decisione è stata presa in applicazione, tra l'altro, della legge federale dell'8 ottobre 1999 concernente le misure collaterali per i lavoratori distaccati e il controllo dei salari minimi previsti nei contratti normali di lavoro (legge sui lavoratori distaccati, LDist; RS 823.20), segnatamente del suo art. 9 cpv. 2 lett. b.
La decisione è stata confermata su ricorso dal Consiglio di Stato ticinese il 1° febbraio 2012.
C. Il 26 novembre 2012 il Tribunale cantonale amministrativo ha parzialmente accolto il gravame della A. Srl e ha riformato la risoluzione governativa nel senso che il divieto di prestare servizi in

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Svizzera è stato limitato a 2 anni e 6 mesi. Innanzitutto, i giudici cantonali hanno ricordato scopo e portata della LDist - cioè garantire ai lavoratori distaccati le condizioni lavorative prescritte nelle leggi federali e il loro rispetto da parte dei datori di lavoro - nonché le sanzioni legali ivi previste. Pronunciandosi poi sul merito la Corte cantonale, dopo avere negato che fossero stati disattesi l'art. 2 dell'Accordo del 21 giugno 1999 tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone (ALC; RS 0.142.112.681) e la libertà economica garantita dall'art. 27 Cost., è giunta alla conclusione che il provvedimento querelato, di per sé giustificato, risultava tuttavia sproporzionato nella sua durata.
D. Il 18 gennaio 2013 la A. Srl ha presentato dinanzi al Tribunale federale un ricorso in materia di diritto pubblico, con il quale chiede che il provvedimento litigioso sia annullato e fa valere, in sintesi, una violazione del divieto di discriminazione di cui all'art. 2 ALC.
In quanto ammissibile, il ricorso è stato respinto.
(riassunto)
 
Dai considerandi:
 
Erwägung 4
4.2 Uno degli obiettivi dichiarati dall'art. 1 ALC è l'agevolazione della prestazione di servizi sul territorio delle parti contraenti, segnatamente la liberalizzazione della prestazione di servizi di breve durata (lett. b). Giusta l'art. 5 cpv. 1 ALC, fatti salvi altri accordi specifici tra le parti contraenti relativi alla prestazione di servizi, un prestatore di servizi, comprese le società conformemente alle disposizioni dell'Allegato I ALC, gode del diritto di fornire sul territorio dell'altra parte contraente un servizio per una prestazione di durata non superiore a 90 giorni di lavoro effettivo per anno civile (cosiddetta libera prestazione dei servizi attiva). Il capoverso 2 stabilisce le condizioni alle quali un prestatore di servizi beneficia del diritto di ingresso e di soggiorno sul territorio dell'altra parte contraente, mentre

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il capoverso 3 disciplina la situazione delle persone fisiche di uno Stato membro della Comunità europea o della Svizzera che si recano nel territorio di una parte contraente unicamente in veste di destinatari di servizi (cosiddetta libera prestazione dei servizi passiva). Il capoverso 4 precisa poi che i diritti di cui al presente articolo sono garantiti conformemente alle disposizioni degli Allegati I, II e III ALC.
4.3 La prestazione di servizi è regolata in maniera più dettagliata in particolare alla cifra IV dell'Allegato I ALC (cfr. art. 15 ALC). Questa cifra comprende gli artt. 17 a 23, i quali trattano innanzitutto del prestatore di servizi. L'art. 17 lett. a vieta qualsiasi limitazione a una prestazione di servizi transfrontaliera sul territorio di una parte contraente, che non superi 90 giorni di lavoro effettivo per anno civile, mentre l'art. 17 lett. b concerne l'ingresso e il soggiorno dei prestatori di servizi e l'art. 23 tratta dei "destinatari di servizi". Da parte sua l'art. 22 cpv. 2 riserva alle parti contraenti il diritto di adottare delle "disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che prevedono l'applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione ai lavoratori distaccati nell'ambito di una prestazione di servizi". Ciò è stato voluto per ovviare ai rischi di dumping sociale e salariale che potevano essere causati dal distacco di lavoratori in Svizzera da parte di prestatori di servizi europei (FF 1999 5347 n. 276.131 lett. b). Ed è sulla base di questa riserva che è stata adottata la legge sui lavoratori distaccati (sentenza 2C_714/2010 del 14 dicembre 2010 consid. 3.1 in fine con riferimenti giurisprudenziali) la quale, oltre ad attuare quanto disciplinato dall'art. 9 cpv. 1 Allegato I ALC, considera anche espressamente la Direttiva 96/71/CE del 16 dicembre 1996 relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi (GU L 18 del 21 gennaio 1997) (FF 1999 5347 n. 276.131 lett. a ultimo paragrafo), come peraltro imposto dall'art. 22 cpv. 2 Allegato I ALC combinato con l'art. 16 cpv. 1 ALC.
Al riguardo occorre rammentare che, al fine di garantire una situazione giuridica parallela tra gli Stati membri della Comunità europea e tra essi e la Svizzera (scopo enunciato all'art. 16 cpv. 1 ALC), soltanto in presenza di seri motivi il Tribunale federale si scosta dall'interpretazione data dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE, diventata la Corte di giustizia dell'Unione europea [CGUE]; di seguito: Corte di giustizia) alle regole dell'UE pertinenti per l'Accordo sulla libera circolazione, quando le stesse sono state promulgate dopo la data della firma di detto Accordo (cioè il 21 giugno

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1999; DTF 140 II 112 consid. 3.2 pag. 117; DTF 139 II 393 consid. 4.1.1 pag. 397; DTF 136 II 65 consid. 3.1 pagg. 70 seg., DTF 136 II 5 consid. 3.4 pag. 12; tutte con numerosi riferimenti).
4.4 La Direttiva 96/71/CE obbliga, tra l'altro, gli Stati membri a coordinare le loro legislazioni al fine di garantire ai lavoratori distaccati un nucleo di regole vincolanti di protezione (considerazioni 13 e 14 Direttiva 96/71/CE) fissate, nello Stato membro sul territorio del quale viene svolto il lavoro a carattere temporaneo, attraverso, tra l'altro, disposizioni legislative, regolamentari o amministrative; in questo nucleo figura, segnatamente, la sicurezza sul lavoro (art. 3 n. 1, comma 1, lett. e Direttiva 96/71/CE). Detta Direttiva dispone poi che incombe agli Stati membri adottare misure adeguate in caso di inosservanza della stessa (art. 5 n. 1 Direttiva 96/71/CE), ciò al fine di garantire la protezione dei lavoratori distaccati e il rispetto dell'interesse generale. In particolare devono vigilare affinché i lavoratori e/o i loro rappresentanti dispongano di procedure adeguate ai fini dell'esecuzione degli obblighi ivi previsti (art. 5 n. 2 Direttiva 96/71/CE). Essa delega agli Stati membri il compito d'istituire le procedure adeguate per attuare le condizioni minime di lavoro nonché salariali, ma non specifica nulla riguardo al tipo di misure di esecuzione e alle sanzioni da infliggere in caso di inosservanza del nucleo di regole imperative di cui impone il rispetto. Gli Stati membri fruiscono pertanto di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda la definizione di forma e modalità delle misure e delle procedure da adottare (sentenze del 12 ottobre 2004 C-60/03 Wolff & Müller GmbH & Co. KG, Racc. 2004 I-9555 punto 30; del 7 ottobre 2010 C-515/08 Dos Santos Palhota e altri, Racc. 2010 I-9133 punto 27), le quali devono comunque in ogni momento rispettare i principi fondamentali del diritto comunitario, di cui fanno parte il principio della proporzionalità e il divieto di discriminazione (sentenza Dos Santos Palhota e altri, punto 29).
Già prima della promulgazione della Direttiva 96/71/CE, la Corte di giustizia ha giudicato che il diritto comunitario non osta a che gli Stati membri estendano l'applicazione delle loro leggi o dei contratti collettivi di lavoro anche alle persone che svolgono un lavoro temporaneo nel loro territorio e d'imporre l'osservanza di queste norme con i mezzi adeguati (sentenze del 27 marzo 1990 C-113/89 Rush-Portuguesa Lda, Racc. 1990 I-1417 punto 18; del 9 agosto 1994 C-43/93 Vander Elst, Racc. 1994 I-3803 punto 23), a condizione che l'applicazione di detti mezzi nei confronti dei prestatori di servizi fosse

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idonea a raggiungere lo scopo perseguito e non andasse oltre a quanto necessario a tal fine (sentenza Rush-Portuguesa Lda, punto 17).
4.5 Sia le disposizioni dell'ALC (art. 2 ALC, artt. 5 e 9 cpv. 1 Allegato I ALC) che quelle del Trattato del 25 marzo 1957 che istituisce la Comunità europea, versione Amsterdam (Trattato CE, TCE [GUC 340 del 10 novembre 1997]) e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 (TrattatoFUE, TFUE [GU C del 26 ottobre 2012]) relative alle libertà fondamentali, di cui fa parte la prestazione di servizi, vietano qualsiasi misura che intralcia o rende meno interessante l'esercizio delle citate libertà fondamentali (cfr. per la prestazione di servizi gli artt. 56 n. 1 TFUE [ex art. 49 TCE] e 57 n. 2 TFUE [ex art. 50 TCE];BIEBER/MAIANI, Précis de droit européen, 2a ed. 2011, pagg. 188 seg. sezione 3), in particolare qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità (cfr. art. 2 ALC, art. 18 TFUE, ex art. 12 TCE) che sia diretta oppure indiretta (per un esposto più dettagliato su questo tema vedasi BIEBER/MAIANI, op. cit., pagg. 177 segg., segnatamente pagg. 178 segg.). Ai sensi della giurisprudenza europea sono tuttavia ammissibili restrizioni fondate su ragioni imperative d'interesse generale, qualora tale interesse non sia tutelato da norme cui il prestatore è soggetto nello Stato membro in cui risiede, e purché, in tal caso, esse siano idonee a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito e non vadano al di là di ciò che è necessario per raggiungerlo (KARL RIESENHUBER, Europäisches Arbeitsrecht, 2009, pagg. 84 seg. n. 64; BIEBER/MAIANI, op. cit., pagg. 180 § 3, 191 § 2 e riferimenti nonché art. 5 Allegato I ALC; sentenze Wolff & Müller GmbH & Co. KG, punto 34; del 24 gennaio 2002 C-164/99 Portugaia Construções Lda , Racc. 2002 I-787 punto 19). Al riguardo si può rilevare che sono stati ritenuti motivi imperativi d'interesse generale la protezione del lavoratore distaccato (sentenze Wolff & Müller GmbH & Co. e Portugaia Construções Lda , punto 35, rispettivamente 22) e quella del lavoratore dello Stato membro ospitante contro il dumping salariale e sociale (sentenza del 18 dicembre 2007 C-341/05 Laval, Racc. 2007 I-11767 punto 103) così come quella dell'impresa locale contro la concorrenza sleale provocata dal versamento di salari inferiori a quello minimo (sentenza Wolff & Müller GmbH & Co. KG, punto 41; vedasi anche KOBERSKI/ASSHOFF/EUSTRUP/WINKLER, Arbeitnehmer-Entsendegesetz, 3a ed. 2011, pag. 39 punto 77; RIESENHUBER, op. cit., pag. 84 n. 66).


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4.6 La legge sui lavoratori distaccati (LDist), adottata in virtù della riserva di cui all'art. 22 cpv. 2 Allegato I ALC e che riprende largamente la Direttiva 96/71/CE, ha per obiettivo principale di attuare, nel diritto interno, gli artt. 2 ALC (divieto della discriminazione fondata sulla nazionalità) e 9 cpv. 1 Allegato I ALC (parità di trattamento). L'art. 1 LDist enuncia l'oggetto della legge, definisce il concetto di lavoratore distaccato ed elenca i casi d'applicazione, mentre l'art. 2 LDist definisce i parametri che vanno applicati ai lavoratori distaccati allo scopo di garantire loro condizioni lavorative e salariali minime; al riguardo va precisato che la lista dei settori considerati corrisponde a quella della direttiva 96/71/CE (FF 1999 5354 n. 276.21 ad art. 2). L'art. 9 LDist disciplina invece le sanzioni previste per le infrazioni alla legge, che vengono pronunciate dall'autorità cantonale competente (cpv. 1), in particolare una multa amministrativa fino a fr. 5'000.- in caso di infrazioni di lieve entità all'art. 2 o agli artt. 3 e 6 (cpv. 2 lett. a), nonché, in caso di infrazioni gravi all'art. 2, per infrazioni ai sensi dell'art. 12 cpv. 1 o per il mancato pagamento dell'importo della sanzione amministrativa passata in giudicato (cpv. 2 lett. b), il divieto di offrire i propri servizi in Svizzera per un periodo da uno a cinque anni (...).
 
Erwägung 5
5.1 Nel caso concreto è incontestato che sono state lese le prescrizioni legali contenute nell'ordinanza sui lavori di costruzioni, che prevedono l'attuazione di specifiche misure di sicurezza sui cantieri al fine di garantire la protezione dei lavoratori, le quali devono essere osservate da tutti i datori di lavoro (art. 1 cpv. 1 dell'ordinanza del 19 dicembre 1983 sulla prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali [OPI; RS 832.30]), ciò che ha comportato l'emanazione di sanzioni (art. 2 cpv. 1 lett. d combinato con l'art. 9 LDist), segnatamente un divieto di prestare i propri servizi in Svizzera per un periodo di due anni e sei mesi. La ricorrente non rimette in discussione la legalità della sanzione, ma sostiene che non si baserebbe su interessi pubblici sufficienti e che disattenderebbe il principio di non discriminazione sancito dall'art. 2 ALC in quanto questo genere di misure colpirebbe unicamente i datori di lavoro e le ditte europei, ossia coloro che non risiedono e non hanno sede in Svizzera (di seguito anche: i datori di lavoro "stranieri").
5.2 È indubbio che la sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro fa parte delle regole imperative di protezione elencate all'art. 3 Direttiva 96/71/CE che devono essere garantite dagli Stati membri e che

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sono state riprese dalla legge sui lavoratori distaccati (art. 2 cpv. 1 lett. d LDist). Al riguardo va rammentato che nella propria prassi la Corte di giustizia ha riconosciuto la tutela dei lavoratori (sentenze del 17 dicembre 1981 279/80 Webb, Racc. 1981 pag. 3305 punto 19; del 3 febbraio 1982 62/81 e 63/81 Seco e Desquenne & Giral, Racc. 1982 pag. 223 punto 14; sentenza Rush Portuguesa Lda, punto 18), inclusa la tutela dei lavoratori nel settore edilizio (sentenza del 28 marzo 1996 C-272/94 Guiot, Racc. 1996 I-1905 punto 16), come motivo imperativo di interesse generale suscettibile di giustificare una restrizione alla libera prestazione dei servizi. È quindi chiaro che vi è un interesse pubblico sufficiente affinché detta regola venga ossequiata ed attuata e la sua mancata osservanza sanzionata, nel rispetto delle esigenze poste dalla prassi europea, ossia che la restrizione appaia idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito (tutela dei lavoratori) e non vada oltre quanto necessario per il suo raggiungimento (sentenza del 7 ottobre 2010 C-515/08 Vítor Manuel dos Santos Palhota e altri, Racc. 2010 I-9133 punti 47-49; cfr. pure JEAN-GUY HUGLO, Liberté d'établissement et libre prestation de services, Revue trimestrielle de droit européen [RTD Eur.] 36/2000 pagg. 727segg., segnatamente 734 § 2 e rinvii). Occorre poi rammentare che, come già accennato in precedenza, in virtù dell'art. 3 n. 1 Direttiva 96/71/CE la Svizzera ha l'obbligo di applicare con efficacia le disposizioni protettive previste a favore dei lavoratori indigeni anche nei confronti dei lavoratori distaccati, vigilando in particolare affinché questi e/o i loro rappresentanti dispongano di procedure adeguate ai fini dell'esecuzione degli obblighi previsti dalla Direttiva (art. 5 n. 2 Direttiva 96/71/CE). Se ne può quindi dedurre che le misure instaurate sulla base dell'art. 5 n. 1 Direttiva 96/71/CE devono essere attuate con lo stesso rigore di quelle previste dalla legislazione interna a favore dei lavoratori indigeni.
Contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la legislazione svizzera - sia federale che cantonale - non contempla unicamente un aumento del premio per l'assicurazione contro gli infortuni (artt. 66 OPI, 92 cpv. 3 della legge federale del 20 marzo 1981

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sull'assicurazione contro gli infortuni [LAINF; RS. 832.20]) nei confronti dei datori di lavoro indigeni che non osservano le disposizioni in materia di protezione dei lavoratori. Nel nostro Paese le infrazioni commesse contro la sicurezza dei lavoratori vengono punite di conseguenza. In effetti, ai sensi dell'art. 112 LAINF, unitamente all'art. 333 cpv. 2 lett. c CP (RS 311.0), "chiunque, in qualità di datore di lavoro, contravviene intenzionalmente o per negligenza alle prescrizioni in materia di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali (...), è punito con una pena pecuniaria sino a 180 aliquote giornaliere di 3'000 franchi al massimo, per quanto non si tratti di un crimine o di un delitto punibile con una pena più grave secondo il Codice penale svizzero". Allo stesso modo la legge federale del 13 marzo 1964 sul lavoro nell'industria, nell'artigianato e nel commercio (LL; RS 822.11) prevede che il datore di lavoro che viola, tra l'altro, le prescrizioni in materia di protezione della salute nel lavoro intenzionalmente o per negligenza (art. 59 cpv. 1 lett. a LL; il secondo capoverso dichiarando applicabile l'art. 6 della legge federale del 22 marzo 1974 sul diritto penale amministrativo [RS 313.0]), può essere punito con una pena pecuniaria sino a 180 aliquote giornaliere (art. 61 cpv. 1 LL). Oltre al fatto che si tratta di reati perseguibili d'ufficio, non va dimenticato che il datore di lavoro è tenuto per legge "a prendere i provvedimenti necessari per la tutela della vita, della salute e dell'integrità personale del lavoratore" (cfr. artt. 328 cpv. 2 CO, 82 cpv. 1 LAINF, 6 cpv. 2 LL).
Per quanto concerne più specificatamente le commesse pubbliche, la legislazione in materia prevede l'esclusione delle imprese dalla procedura d'aggiudicazione, rispettivamente la revoca della medesima in caso di mancato rispetto delle disposizioni concernenti la sicurezza dei lavoratori. In effetti, la legge federale del 16 dicembre 1994 sugli acquisti pubblici (LAPub; RS 172.056.1) e relativa ordinanza dell'11 dicembre 1995 (OAPub; RS 172.056.11), la legge ticinese del 20 febbraio 2001 sulle commesse pubbliche (LCPubb; RL/TI 7.1.4.1), il Concordato intercantonale del 25 novembre 1994/15 marzo 2001 sugli appalti pubblici (CIAP; RL/TI 7.1.4.1.3.) e il regolamento del 12 settembre 2006 di applicazione della legge sulle commesse pubbliche e del Concordato intercantonale sugli appalti pubblici (RLCPubbl/CIAP; RL/TI 7.1.4.1.6), oltre a prescrivere che le aggiudicazioni devono avvenire unicamente nei confronti di offerenti che garantiscono, tra l'altro, il rispetto delle citate disposizioni (artt. 8 cpv. 1 lett. b e cpv. 2 LAPub, 6 cpv. 1 lett. a-c OAPub, 5 lett. c LCPubb,

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11 lett. e CIAP, 6 cpv. 1 lett. a-b RLCPubbl/CIAP) contemplano l'esclusione dall'aggiudicazione e/o la revoca della stessa qualora l'offerente non rispetti dette esigenze, esclusione che, a dipendenza della gravità della violazione constatata, può estendersi (per quanto concerne il diritto ticinese) fino ad un periodo massimo di cinque anni (artt. 11 lett. d LAPub, 25 lett. c nonché 45 cpv. 2 lett. d-e LCPubb, 38 lett. g RLCPubbl/CIAP). Un'analoga regolamentazione è pure prevista negli altri Cantoni, ad esempio nel diritto vodese (cfr. artt. 6 lett. e nonché 14a cpv. 1 della "loi du 24 juin 1996 sur les marchés publics" [LMP-VD; RSV 726.01] e artt. 6 cpv. 2 e 3, 32 cpv. 1 lett. c e 40 del "Règlement d'application du 7 juillet 2004 de la loi du 24 juin 1996 sur les marchés publics" [RLMP-VD; RSV 726.01.1]), in quello grigione (artt. 10 cpv. 1 lett. a e b, 22 lett. g e 31 cpv. 2 della "Submissionsgesetz vom 10. Februar 2004" [SubG; BR 803.300]) o in quello zurighese (art. 11 lett. e nonché § 4a lett. g e § 4b cpv. 1 Allegato 2 della "Gesetz vom 15. September 2003 über den Beitritt zur revidierten Interkantonalen Vereinbarung über das öffentliche Beschaffungswesen vom 15. März 2001" [LS 720.1], così come § 8 lett. a e b della "Submissionsverordnung vom 23. Juli 2003" [LS 720. 11]).
5.4 Da quanto precede risulta che diverse misure e sanzioni (aumento dei premi assicurativi, multe, pene pecuniarie, esclusione/revoca della commessa) possono essere pronunciate nei confronti dei datori di lavoro nazionali inadempienti. È vero che i provvedimenti in questione non sono perfettamente identici a quelli previsti per i datori di lavoro assoggettati all'Accordo sulla libera circolazione, siccome questi ultimi possono essere colpiti, oltre che da multe, pene pecuniarie, esclusione/revoca della commessa, anche da un divieto di offrire i propri servizi in Svizzera per un periodo da uno a cinque anni, misura che evidentemente non può essere pronunciata nei confronti di un datore di lavoro o di un'impresa del luogo. Ciò non vuole ancora dire che quest'ultimo provvedimento, perché non è applicabile ai datori di lavoro o alle imprese nazionali, non è ammissibile. In effetti, la Corte di giustizia europea ha già avuto modo di osservare che quando vi sono delle differenze obiettive tra i prestatori di servizi stabiliti nello Stato sul cui territorio la prestazione è effettuata e quelli con sede in uno Stato diverso che distaccano lavoratori sul territorio del primo Stato al fine di fornirvi un servizio, in tale caso il fatto che non siano soggetti ad obblighi strettamente equivalenti è ammissibile fintantoché detti obblighi sono proporzionati,

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appaiono cioè idonei a garantire la realizzazione degli obiettivi perseguiti e non vanno al di là di quanto necessario per il loro conseguimento (sentenza del 19 dicembre 2012 C-577/10 Commissione europea contro Regno del Belgio e Regno di Danimarca, destinata alla pubblicazione nella Raccolta, punti 47-49; vedasi anche EPINEY/ZBINDEN, Arbeitnehmerentsendung und FZA Schweiz - EG, Jusletter 31 agosto 2009 n. 54).
5.5 In concreto si è in presenza di differenze obiettive, in quanto i datori di lavoro e/o le imprese che si recano e/o distaccano temporaneamente i propri lavoratori in Svizzera per fornirvi prestazioni di servizi possono farlo unicamente per un massimo di 90 giorni (lavorativi, ossia 18 settimane; cfr. ALVARO BORGHI, La libre circulation des personnes entre la Suisse et l'UE, 2010, pag. 128 n. 269) sull'arco di un anno, allorché i datori di lavoro e/o le imprese nazionali vi forniscono i loro servizi in modo permanente. Occorre in seguito rilevare che le esclusioni che possono essere pronunciate in materia di commesse pubbliche (cfr. consid. 5.3 § 3) sanzionano più pesantemente le imprese svizzere di quelle straniere, siccome queste ultime possono offrire i loro servizi solo per 90 giorni lavorativi all'anno, allorché nei confronti di quelle indigeni l'esclusione si riferisce all'intero anno lavorativo. Inoltre i datori di lavoro svizzeri possono essere penalizzati con degli aumenti, notevoli, dei primi assicurativi in caso d'inosservanza delle prescrizioni che proteggono i lavoratori (artt. 6 OPI, 92 cpv. 3 LAINF), il tasso del premio dovendo essere superiore al precedente di almeno il 20 per cento (cfr. art. 113 cpv. 2 dell'ordinanza del 20 dicembre 1982 sull'assicurazione contro gli infortuni [OAINF; RS 832.202]). Provvedimento che non può per contro essere pronunciato nei confronti dei datori di lavoro che distaccano temporaneamente i propri lavoratori in Svizzera, in quanto questi ultimi non sono assoggettati all'assicurazione infortuni (art. 2 cpv. 2 LAINF). Infine, sebbene i datori di lavoro "stranieri" possano, in linea di principio, essere ugualmente puniti con le pene pecuniarie di cui all'art. 112 LAINF (richiamato l'art. 333 CP), non devono tuttavia essere sottovalutate le difficoltà alle quali le competenti autorità svizzere possono essere confrontate per pronunciarle e farle eseguire: impossibilità di costringere i citati datori di lavoro "stranieri" a venire in Svizzera per l'istruttoria e il procedimento; presumibile susseguente condanna in contumacia; ipotizzabili difficoltà e/o impossibilità d'incassare le aliquote; eventuale necessità di procedere ad un nuovo processo per convertirle in pena detentiva.


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5.6 Visto quanto precede e rammentato che la non osservanza delle prescrizioni in materia di sicurezza sul lavoro concerne un settore ove le sanzioni non possono essere perfettamente identiche, date le differenze obiettive esistenti tra i prestatori nazionali e quelli provenienti da uno Stato membro, ne discende che siccome i provvedimenti contestati colpiscono con la medesima severità entrambe le categorie di prestatori di servizi e che hanno degli effetti paragonabili, non si può ritenere che ciò porta ad una discriminazione nei confronti delle imprese straniere che soggiacciono alla disciplina dell'Accordo sulla libera circolazione. Su questo aspetto il ricorso si rivela infondato e, come tale, va respinto.
5.8 Per quanto concerne poi la prassi della Corte di giustizia delle Comunità europee richiamata dalla ricorrente (sentenza del 18 maggio 1982 115/81 e 116/81 Adoui e Cornuaille, Racc. 1982 pag. 1665 punto 8) - secondo la quale un comportamento non può essere considerato grave e legittimare restrizioni se nei confronti della stessa condotta manifestata dai propri cittadini non vengono adottate misure coercitive o altre misure concrete ed effettive al fine di contrastarlo - la stessa, per i motivi appena illustrati, non risulta disattesa. Occorre poi precisare che l'ulteriore richiamo alla prassi della Corte di giustizia (citata da MARCEL DIETRICH, Die Freizügigkeit der Arbeitnehmer in der Europäischen Union, 1995, pag. 480), secondo cui la violazione di disposizioni nazionali inerenti all'entrata, al soggiorno e all'attività lucrativa non può giustificare limitazioni alla libera circolazione, si rivela privo di pertinenza, detta prassi riferendosi alla non osservanza di formalità amministrative (mancato annuncio dell'arrivo, mancanza di un documento di legittimazione, ecc.), aspetto che esula dal presente litigio.
5.9 Riguardo all'interpretazione dei materiali legislativi eseguita dalla ricorrente, occorre rammentare alla medesima che il Messaggio da lei richiamato (ossia il Messaggio del 1° ottobre 2004 concernente la legge federale sulla revisione delle misure collaterali alla libera circolazione delle persone, FF 2004 5863 segg, segnatamente 5877

BGE 140 II 447 (459):

seg.) tratta dell'inasprimento di sanzioni già esistenti nei confronti dei datori di lavoro "stranieri". Essa ha infatti tralasciato che la sanzione da lei criticata era stata introdotta quando è stata adottata la legge federale sui lavoratori distaccati per sanzionare, tra l'altro, le gravi violazioni delle disposizioni relative alla protezione dei lavoratori (cfr. FF 1999 5092 segg., segnatamente 5357 ad art. 9 della nuova legge federale sul distacco di lavoratori in Svizzera) e che nel Messaggio da lei richiamato la misura è stata estesa ai datori di lavoro "stranieri" recalcitranti riguardo al pagamento di multe loro inflitte (vedasi anche al riguardo DANIEL VEUVE, Les mesures d'accompagnement liées à l'extension de l'Accord sur la libre circulation des personnes, in: Accords bilatéraux II Suisse-UE, Kaddous/Jametti Greiner [ed.], 2006, pag. 859 n. 4). Anche su questo punto il ricorso si rivela privo di consistenza e deve pertanto essere respinto.
5.10 Infine, la ricorrente afferma che le si può rimproverare un'unica violazione e che è del tutto errato lasciare intendere che è recidiva. Ribadisce poi che se fossero stati sentiti i testi da lei proposti, questo errore avrebbe potuto essere corretto. Sennonché, come emerge dall'inserto cantonale, segnatamente dallo scambio di corrispondenza avvenuto tra la SUVA e la ricorrente, di cui essa ha ottenuto una copia (cfr. lettera della SUVA all'impresa del 10 ottobre 2011), le sono state rimproverate delle inadempienze nel 2009 (lettera del 6 febbraio 2009 concernente un cantiere a Y.), nel 2010 (lettera del 7 luglio 2010 relativa ad un cantiere a Z., richiamata in una e-mail del 20 dicembre 2010) e nel 2011 (cantiere all'origine del presente litigio). Ogni volta all'interessata è stata rimproverata l'assenza di adeguate misure a tutela della sicurezza dei lavoratori ed ogni volta essa è stata avvisata delle misure che potevano essere attuate nei suoi confronti in caso di recidiva (ciò che ha portato all'emanazione della sanzione all'origine del presente litigio). La critica, del tutto fuori luogo e ai limiti della temerarietà, va pertanto respinta.