BGE 100 Ia 18
 
4. Sentenza del 6 febbraio 1974 nella causa Massa fallimentare Kirsch contro Fehr e Tribunale d'Appello del cantone Ticino.
 
Regeste
Staatsrechtliche Beschwerde.
2. Die Prozessfähigkeit einer Konkursmasse richtet sich nach dem Recht des Staates, in welchem der Konkurs eröffnet worden ist (Bestätigung der Rechtsprechung) (Erw. 2).
Vorsorgliche Massnahmen, Ablehnung mangels hinreichender Erfolgsaussichten des Prozesses, Willkür.
Wenn der Streit darum geht, ob eine vom Richter im Scheidungsurteil genehmigte Vereinbarung der Ehegatten über die Liquidation der güterrechtlichen Verhältnisse zugunsten einer ausländischen Konkursmasse in der Schweiz unwirksam zu machen sei, begeht der Richter Willkür, wenn er die vorsorgliche Massnahme einzig deshalb abweist, weil die Klage keinerlei Erfolgsaussichten habe, da ihr der Grundsatz der Territorialität des Konkurses entgegenstehe. Die Tragweite dieses Grundsatzes ist umstritten (Erw. 3-5), und eine allfällige Anwendung des Art. 188 Abs 1 ZGB kann nicht von vorneherein ausgeschlossen werden (Erw. 6).
 
Sachverhalt


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Riassunto dei fatti:
Il 28 ottobre 1971 il Tribunale distrettuale di Lussemburgo pronunciava il fallimento di Armand Kirsch, a Lussemburgo. Il 3 novembre 1971 la moglie del fallito, domiciliata ad Orselina dal 18 ottobre 1971, presentava al Pretore di Locarno-Città domanda di divorzio, chiedendo nel contempo l'omologazione di una convenzione sulle conseguenze patrimoniali accessorie stipulata tra i coniugi il 21 ottobre 1971. Il 5 novembre 1971 il Pretore pronunciava il divorzio e omologava la convenzione; in virtù di quest'ultima, mentre al marito era riconosciuta la proprietà dei beni siti in Lussemburgo, alla moglie erano attribuiti i fondi 1091 e 1128 RFD Orselina, su cui sorgono due case di appartamenti.
Con petizione 15 dicembre 1971 la Massa fallimentare Kirsch, in Lussemburgo, introduceva presso la Pretura di Locarno un'azione con la quale chiedeva che, revocata la convenzione, i fondi di Orselina fossero messi a sua disposizione per il pagamento dei creditori di Armando Kirsch. In via provvisionale, la massa attrice postulava l'iscrizione a registro fondiario della restrizione della facoltà di disporre, nonchè il blocco in conto vincolato dei canoni di locazione versati dagli inquilini.
Il Pretore respingeva la domanda provvisionale con sentenza 31 marzo 1972, negando l'esistenza di una qualsivoglia probabilità di successo della lite (presupposto di ogni intervento cautelativo), per ostarvi il principio della territorialità del fallimento.
La Camera civile del Tribunale d'Appello del cantone Ticino respingeva il 17 novembre 1972 il gravame interposto dalla Massa fallimentare, che ha impugnato tale decisione con ricorso di diritto pubblico fondato sull'art. 4 CF.
 
Considerando in diritto:
1. L'impugnata sentenza, di ultima istanza, non può considerarsi come sentenza incidentale a'sensi dell'art. 87 OG, ancorchè non ponga fine al litigio. Concedendo provvedimenti destinati a durare solo quanto la causa di merito, essa non

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sarebbe infatti più suscettibile di impugnazione mediante il ricorso di diritto pubblico insieme con la sentenza di merito (BIRCHMEIER, ad art. 87 OG, p. 354; sentenza non pubblicata Badrutt del 7 maggio 1969; RU 97 I 485 consid. 1b; cfr. anche 97 I 214 consid. 1b).
Sotto il profilo dell'art. 87 OG il ricorso è quindi ricevibile.
Il ricorso è quindi ricevibile anche sotto il profilo dell'art. 88 OG.
A giusta ragione, però, la ricorrente osserva (ricorso, cifra 2, in fine) che le sue ulteriori ed essenziali censure rimangono immutate nell'una o nell'altra ipotesi. Infatti, tanto il Pretore quanto la Camera civile hanno fondato il loro giudizio negativo sulle possibilità di esito favorevole dell'azione di merito su uno stesso principio: quello della territorialità del fallimento. Negato che il fallimento lussemburghese possa esplicare un qualsiasi effetto - diretto o mdiretto - in Svizzera, essi hanno escluso tanto la possibilità di un'azione revocatoria, quanto quella di un'azione tendente alla pronunzia della nullità di atti compiuti dopo il fallimento.
Ne consegue che non è indispensabile che il Tribunale federale esamini se l'opinione della seconda istanza cantonale, secondo cui la liquidazione impugnata sarebbe posteriore anzichè anteriore al fallimento, resista o meno alla censura d'arbitrio.


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4. Ambo le istanze cantonali hanno rilevato che l'adozione di misure provvisionali non entrava in considerazione, poichè la causa di merito non presenta possibilità di esito favorevole.
a) La ricorrente non pretende che l'art. 4 CF precludesse, in sè e per sè, codesta via alle autorità cantonali.
A ragione. Dato che le misure provvisionali servono, in genere, alla tutela di un diritto asserito, è senz'altro lecito al giudice di esaminare, in modo provvisorio e sommario, il fondamento della pretesa fatta valere in giudizio, e pertanto di considerare, per l'ammissione o il rifiuto delle invocate misure, le prospettive d'esito favorevole dell'azione. Tuttavia, non è necessario sia provato che l'azione ha fondamento: occorre e basta che la possibilità d'esito favorevole sia resa credibile (RU 97 I 486/7 consid. 3a). A tale requisito non si possono porre esigenze troppo severe, sotto pena di cadere nel diniego di giustizia formale (cfr. KUMMER, Grundriss der Zivilprozessordnung, p. 91; sentenza non pubblicata 19 dicembre 1973 Müller c. Bristol).
b) Le prospettive d'esito favorevole del litigio costituiscono un criterio anche per la concessione dell'assistenza giudiziaria. In tal campo la giurisprudenza del Tribunale federale sull'art. 4 CF ha precisato la nozione di probabilità di esito sfavorevole (Aussichtslosigkeit), nel senso che deve considerarsi carente di possibilità d'esito favorevole quella domanda processuale per la quale le prospettive di successo sono cosi esigue di fronte al rischio dell'insuccesso da far si che l'azione non possa considerarsi seria (RU 89 I 161; 78 I 196).
Ci si può chiedere se la nozione di prospettiva sfavorevole elaborata per l'assistenza giudiziaria debba assumersi senz'altro tale e quale anche per il giudizio circa la concessione o il rifiuto di misure provvisionali, dove non si tratta di decidere, fuori dell'ambito del processo vero e proprio, se lo Stato debba assumersi una prestazione a favore di un cittadino, come nel caso dell'assistenza; oppure se, nel predetto campo, non debba esigersi per il rifiuto che la domanda di merito appaia manifestamente infondata: questione che il Tribunale federale in RU 97 I 487/88 ha lasciato, apparentemente, aperta. Comunque, giova rilevare che una condotta processuale non può definirsi sprovvista di probabilità d'esito favorevole soltanto perchè è in contrasto con un precedente giudiziale, sia pure della massima istanza, o perchè contraddice ad un'opinione, sia pure dominante,

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della dottrina, purchè all'appoggio della domanda siano addotti argomenti che appaiono degni d'esame (GULDENER, Das Schweiz. Zivilprozessrecht, ed. 1948 vol. II p. 563 n. 43).
5. Il principio della territorialità nei rapporti internazionali del fallimento può certo, nella sua generalità, considerarsi fermo ed acquisito, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. Esso poggia sulla duplice considerazione che il diritto esecutivo costituisce un insieme di norme procedurali, che sono proprie di ogni singolo Stato, e non possono pertanto trasporsi facilmente oltre i confini dello Stato medesimo, da un lato; dal-l'altro, che il diritto esecutivo implica l'applicazione di mezzi coercitivi, che costituiscono l'espressione della sovranità dello Stato, per cui non è ammissibile l'applicazione di misure coercitive a favore di una sovranità straniera. Tuttavia, i limiti d'applicabilità del principio della territorialità sono controversi nella dottrina, e taluni autori postulano, con argomenti degni di attenzione, una diversificazione ed un affinamento della giurisprudenza.
a) L'applicazione assoluta del principio della territorialità del fallimento nelle relazioni internazionali nega ogni e qualsiasi effetto in Svizzera del fallimento pronunciato all'estero.
Ne consegue che la massa fallimentare estera non può avocare a sè i beni che il fallito ancora possegga in Svizzera, e che il debitore è libero di disporne. Se ne può dedurre che la massa fallimentare estera non può neppure intentare azioni che, come la revocatoria, non solo presuppongono un fallimento (o un attestato di carenza beni) conforme al diritto interno, ma tendono a consentire l'esecuzione, generale o particolare, su beni di cui il debitore ha disposto a favore di terzi, come se l'atto impugnato non avesse avuto luogo. Conformemente al principio della territorialità, il Tribunale federale ha tra l'altro giudicato che il fallimento pronunciato all'estero esplica effetti in Svizzera solo se ed in quanto ciò sia previsto da un trattato, come il trattato franco-svizzero (RU 32 I 778 consid. 4; 94 III 48 consid. 3), ed in particolare che il fallimento estero non fa decadere le procedure esecutive già in corso su territorio svizzero contro il debitore, nè impedisce nuove esecuzioni o la pronunzia del fallimento in Svizzera (RU 35 I 811; 94 III 48). Inoltre, in una sentenza apparsa in RU 54 III 28, su cui si tornerà, il Tribunale federale ha dichiarato che il fallimento estero non comporta per le autorità svizzere il dovere di consegnare

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alla massa straniera i beni ch'esse detengono per conto del fallito o dei suoi creditori.
b) Sul tema specifico dell'azione pauliana in seguito a fallimento, la giurisprudenza del Tribunale federale, tra le numerose contrastanti opinioni dottrinali (confronta: C. DOKA, Das international-privatrechtliche Problem der actio pauliana, ZSR 64, 331 e lett. ivi citata) ha dato la preferenza a quella che dichiara applicabile all'azione il diritto del luogo della pronunzia di fallimento. Cosi, trattando di un fallimento aperto in Svizzera, il Tribunale federale ha deciso che la questione di sapere quali beni facciano parte della massa o vi debbano eventualmente rientrare è retta esclusivamente dal diritto svizzero, anche se il negozio oggetto della domanda di revocazione è stato concluso all'estero, ed ivi si trovino i beni, precisando che non s'ha da tener conto, in quest'esame, della posizione del diritto estero, nè della possibilità di far eseguire all'estero la sentenza svizzera (RU 41 III 319, 42 III 174). È in RU 59 III 256, richiamata questa giurisprudenza, il Tribunale federale ha dichiarato che i motivi di essa conducono logicamente alla soluzione inversa nell'ipotesi di un fallimento aperto all'estero: cioè a dichiarare applicabile alla predetta azione il diritto straniero, sotto il cui imperio è stato pronunciato il fallimento, con la sola riserva di quelle derogazioni richieste dall'ordine pubblico internazionale. Sulla portata e gli effetti di codesta riserva il Tribunale federale non ebbe tuttavia motivo di fornire precisazioni, perchè al litigio in questione tornava applicabile il trattato franco-svizzero, che istituisce fra i due paesi l'universalità del fallimento.
c) Anche parte della (scarsa) dottrina più recente postula soluzioni che permettano di concedere la revocatoria, sotto determinate riserve e cautele, in caso di fallimento pronunciato all'estero. JACOT (La faillite dans les relations de droit international privé de la Suisse, Neuchâtel 1932, p. 124 ss) ritiene che, dato che la giurisprudenza del Tribunale federale ha ammesso, per un fallimento aperto in Svizzera, l'applicabilità alla revocatoria del diritto svizzero, ancorchè l'atto impugnato sia stato concluso e i beni si trovino all'estero (RU 41 III 319, 42 III 174), non è possibile dichiarare per principio applicabile all'azione che la legge estera, se il fallimento si è aperto all'estero. Se i beni, oggetto dell'azione, si trovano in Svizzera, devesi distinguere, secondo quest'autore, tra il caso in cui il debitore

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perseguito all'estero abbia anche in Svizzera un foro esecutivo, e il caso in cui egli non possa invece esservi perseguito.
Nella prima ipotesi, la revocatoria non potrà avere per conseguenza di sottrarre alla massa svizzera beni che dovrebbero rientrarvi; il debitore dovrà esser escusso in Svizzera. Nella seconda ipotesi, invece, Jacot ritiene superfluo distinguere fra i beni che l'atto impugnato ha fatto entrare o rimanere in Svizzera e i beni che, se l'atto impugnato non fosse stato concluso, sarebbero comunque rimasti in Svizzera e non sarebbero pertanto caduti nella massa straniera. Le sole restrizioni all'esercizio della revocatoria sono per Jacot quelle derivanti dalla tutela del possesso di buona fede (art. 933, 290 LEF) e dall'art. 291 LEF circa la misura della restituzione. Secondo questo autore, l'ammissione della revocatoria in un caso del genere non costituisce propriamente deroga al principio della territorialità del fallimento, o, se la costituisce, è un'eccezione, imposta dalle norme della buona fede, che conferma la regola (o.c. p. 124, cfr. anche p. 100/101).
Anche C. DOKA (1.c. p. 345) postula per l'ammissibilità della revocatoria in caso di fallimento all'estero soluzioni che tengano conto della congruenza degli statuti che reggono la pauliana nei due Stati interessati. Egli nega che un simile modo di procedere costituisca una vera e propria deroga al principio della territorialità del fallimento, ed osserva che se, in virtù di tale principio, si vuol escludere che i beni siano automaticamente rimessi alla massa straniera, occorre e basta rinviare quest'ultima ad un fallimento o ad una esecuzione separata secondo il diritto interno (o.c. p. 346/47).
Infine HIRSCH (Aspects internationaux du droit suisse de la faillite, m Mémoires publiés par la Faculté de droit de Genève, n. 27, 1969, p. 69 ss), postula soluzioni differenziate a seconda che la massa straniera concorra con creditori che singolarmente hanno escusso il fallito in Svizzera; oppure che il solo fallito, ma non i suoi creditori, si opponga all'azione della massa estera e pretenda di liberamente disporre dei suoi beni in Svizzera; oppure, infine, che un terzo contesti gli effetti in Svizzera del fallimento estero, problema specifico sul quale la giurisprudenza non si è sin qui pronunciata (o.c. p. 74). In particolare, HIRSCH si esprime criticamente sulla sentenza del Tribunale federale pubblicata in RU 54 III 28, osservando ch'essa sembra autorizzare, senza distinzione alcuna, il debitore fallito all'estero a

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disporre dei suoi beni in Svizzera in pregiudizio dei creditori, e conduce quindi ad un risultato iniquo. Egli si chiede se quei considerandi, di portata troppo assoluta, non vadano corretti e se la decisione del Tribunale federale non sia dovuta alle particolarità del caso specifico (1. c. p. 78). In senso analogo, sulle conseguenze inaccettabili di un'applicazione troppo rigida del principio della territorialità si era già espresso JACOT (o.c. p. 101), con l'osservazione che, così procedendo, si consentirebbe ad un debitore con beni in parecchi Stati esteri di disfarsene a favore di terzi, ponendo tutti i creditori nella impossibilità di convenire i beneficiari, data l'assenza di un foro esecutivo nei singoli Stati.
Infine, sulla complessità dei problemi sollevati dagli effetti internazionali del fallimento, si veda anche DALLÈVES, Universalité et territorialité de la faillite dans la perspective de l'intégration europeenne, in Blätter für Schuldbetreibung und Konkurs, 1973, p. 161 ss.
d) Se ne deve concludere che il problema a sapere se la massa fallimentare estera possa esperire l'azione pauliana o l'azione tendente a fare dichiarare inopponibili ai creditori gli atti del fallito è controverso.
La giurisprudenza del Tribunale federale non si è mai pronunciata sullo specifico caso; la sentenza RU 59 III 256 sembra aprire la via a tale azione in applicazione di principi del diritto estero, senza tuttavia precisarne le limitazioni derivanti dall'ordine pubblico svizzero ch'essa ha riservato. La dottrina specifica sull'argomento postula soluzioni che concilino il principio dell'universalità, applicato quando il fallimento è pronunciato in Svizzera, con il contraddittorio principio della territorialità, applicato allorquando si tratta di riconoscere taluni effetti di diritto materiale al fallimento estero (DALLEVES, o.c. p. 165), e soprattutto soluzioni che consentano di impedire al debitore di pregiudicare gli interessi di tutti i creditori, impedendo loro di perseguirlo all'estero per mancanza di foro esecutivo.
L'inammissibilità dell'azione pauliana è invece deducibile, indirettamente, dalla sentenza in RU 54 III 28: ma si è visto che, in dottrina, critiche serie sono state mosse a quella motivazione, ritenuta troppo assoluta.
Non è compito del Tribunale federale, quale Corte di diritto pubblico, di sciogliere la controversia. In questa sede, si deve soltanto concludere che l'autorità cantonale non poteva, senza

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contravvenire al precetto dell'art. 4 CF e cadere nel diniego di giustizia, sostenere in virtù di un esame sommario che la causa di merito è sprovvista di ogni possibilità d'esito favorevole e, fondandosi su codesta pregiudiziale, rifiutare di prendere in considerazione la concessione di misure cautelative. Le censure della ricorrente sono quindi, sotto questo profilo, fondate.
Ora, la giurisprudenza del Tribunale federale ha già giudicato che, ove trovi applicazione l'art. 188 CC, l'azione pauliana è, per principio, esclusa e sostituita da codesto rimedio speciale (RU 54 III 259). In seguito, il Tribunale federale ha precisato che tale principio soffre eccezioni nel caso in cui la liquidazione patrimoniale è fittizia, e maschera in realtà liberalità fra i coniugi (RU 63 III 30, consid. 2). Tuttavia, se i coniugi hanno conferito al negozio impugnabile la parvenza di una liquidazione patrimoniale, i creditori possono, anzichè far capo alla revocatoria, invocare la protezione loro conferita dall'art. 188 CC (sentenza del Tribunale federale pubblicata in Semaine judiciaire 62, p. 166).
Certo, la protezione offerta dall'art. 188 CC si esplica normalmente attraverso un'esecuzione promossa contro il coniuge debitore che sfocia nel pignoramento di quei beni i quali, in assenza dell'atto impugnabile, avrebbero continuato a garantire i creditori: restando riservato al procedimento contraddittorio di cui agli art. 106-109 LEF di stabilire se il pignoramento in virtù dell'art. 188 CC debba esser mantenuto o meno (RU 38 I 629; 65 II 108). La questione se, anzichè procedere in tal modo, i creditori possano, all'infuori di un'esecuzione, far constatare giudizialmente che il patrimonio oggetto del negozio impugnato continua a garantirli è stata lasciata aperta nella sentenza pubblicata in Semaine judiciaire 62, 165: la dottrina ammette una tale possibilità [LEMP, ad art. 188 CC, n. 45; inoltre, sui rapporti fra azione pauliana e la disposizione dell'art. 188 CC, cfr. KNAPP, Etude systématique de la jurisprudence...

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ZbJV 78 (1942) p. 337 e 80 (1943) p. 97 ss; GYGI, Zum Gläubigerschutz bei Wechsel des Güterstandes im Konkursrecht, ZbJV 85 (1949) p. 157]. Se si dovesse giungere alla conclusione che la domanda può fondarsi sull'art. 188 CC, le difficoltà poste dall'azione revocatoria nei rapporti internazionali potrebbero anche non porsi, i presupposti per l'applicazione dell'art. 188 CC essendo diversi. Tutt'al più potrebbe chiedersi se la massa straniera possa rappresentare tutti i creditori.
Questi complessi problemi, delicati specialmente sotto il profilo del diritto internazionale privato, non devono essere approfonditi in questa sede, dato che attengono al merito della causa. Le considerazioni svolte confermano però che l'autorità cantonale non poteva, senza cadere nell'arbitrio, dichiarare pregiudizialmente sprovvista di ogni possibilità di esito favorevole la lite, ignorando che la ricorrente fa valere argomenti seri e degni di attenzione, che trovano appoggio, almeno parzialmente, nella dottrina, e soprattutto negligendo di considerare che l'esclusione in limine di ogni possibilità di azione per i creditori appare insoddisfacente.
Contraria all'art. 4 CF, la decisione impugnata dev'essere annullata. L'autorità cantonale emanerà nuovo giudizio, decidendo se ed in quale misura le invocate misure conservative, sulle quali non è il caso di qui pronunciarsi, debbano essere mantenute o revocate.