BGer 1C_282/2018
 
BGer 1C_282/2018 vom 05.07.2018
 
1C_282/2018
 
Sentenza del 5 luglio 2018
 
I Corte di diritto pubblico
Composizione
Giudici federali Merkli, Presidente,
Fonjallaz, Eusebio,
Cancelliere Crameri.
 
Partecipanti al procedimento
1. Stefano Nicola Baragiola,
2. Giorgio Zürcher,
3. Chiara Lepori Abaecherli,
4. Giorgio Bellini,
5. Ennio Caroli,
6. Marco Morganti,
ricorrenti,
contro
Paolo Sanvido,
Municipio di Lugano, piazza Riforma 1, 6900 Lugano,
Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino, Divisione degli interni,
Sezione degli enti locali, 6501 Bellinzona,
Consiglio di Stato della Repubblica e Cantone Ticino, Residenza governativa, 6500 Bellinzona.
Oggetto
domanda di referendum,
ricorso contro la sentenza emanata il 4 maggio 2018
dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino
(incarto n. 52.2016.11).
 
Fatti:
A. Il 30 giugno 2015 il Consiglio comunale di Lugano ha approvato lo stanziamento di un credito di fr. 102'040'000.--, corrispondente alla quota parte del 47,24 % dell'importo a carico dei Comuni del comprensorio, destinato alla realizzazione della seconda fase del Piano dei tra-sporti del Luganese (PTL 2) e del Programma di agglomerato del Luganese (PAL 2). Contro il credito è stato lanciato un referendum. Accertata la validità di 3'302 firme raccolte, il 4 settembre 2015 il Municipio di Lugano ha dichiarato regolare e ricevibile la domanda di referendum, fissando al 3 dicembre 2015 la data della votazione popolare.
B. Contro questa risoluzione il 5 ottobre 2015 Paolo Sanvido, cittadino attivo di Lugano, è insorto dinanzi al Consiglio di Stato, che con decisione del 2 dicembre 2015 ha accolto il ricorso e annullato la risoluzione municipale. Ha ritenuto che si tratta di una spesa vincolata e quindi non referendabile, poiché la quota globale e la relativa chiave di riparto dei costi era stata stabilita in maniera vincolante nella risoluzione governativa n. 4603 del 14 ottobre 2014. Adito da Raoul Ghisletta, Chiara Lepori Abaecherli, Stefano Nicola Baragiola, Mattias Schmidt, Marco Jermini, Ennio Caroli e Carlo Zoppi, con sentenza del 4 maggio 2018 il Tribunale cantonale amministrativo ne ha respinto il ricorso.
C. Avverso questa decisione Stefano Nicola Baragiola, Giorgio Zürcher, Chiara Lepori Abaecherli, Giorgio Bellini, Ennio Caroli e Marco Morganti presentano un ricorso in materia di diritto pubblico per violazione dei diritti politici al Tribunale federale. Chiedono di annullarla e di dichiarare valida la domanda di referendum.
Non è stato ordinato uno scambio di scritti.
 
Diritto:
 
Erwägung 1
1.1. Il criticato giudizio costituisce una decisione finale dell'autorità cantonale di ultima istanza impugnabile con un ricorso in materia di diritto pubblico concernente il diritto di voto dei cittadini (art. 82 lett. c in relazione con gli art. 86 cpv. 1 lett. d e 90 LTF). Vi rientrano anche le vertenze cantonali e comunali (art. 88 cpv. 1 LTF).
1.2. In materia di diritti politici (art. 82 lett. c LTF), il diritto di ricorrere spetta a chiunque abbia diritto di voto nell'affare in causa (art. 89 cpv. 3 LTF). Conformemente all'art. 89 cpv. 1 lett. a LTF, i ricorrenti Giorgio Zürcher, Giorgio Bellini e Marco Morganti, che non hanno partecipato al procedimento dinanzi al Tribunale cantonale amministrativo, non sono tuttavia legittimati a ricorrere, irrilevante al riguardo essendo il fatto che siano firmatari della domanda di referendum. Essi non adducono infatti, né ciò è ravvisabile, perché sarebbero stati privati della possibilità di farlo. Legittimati a ricorrere sono quindi soltanto Stefano Nicola Baragiola, Chiara Lepori Abaecherli e Ennio Caroli. Certo, nella decisione impugnata la Corte cantonale ha ritenuto che sulla base dell'art. 209 della legge organica comunale del 10 marzo 1987 (LOC), che istituisce la "actio popularis" a livello cantonale, la mancata partecipazione alla procedura di prima istanza dinanzi al Consiglio di Stato non ha effetti preclusivi: ciò non è determinante nella sede federale, dove la legittimazione a ricorrere è disciplinata dalla LTF.
1.3. Secondo l'art. 95 lett. a, c, e d LTF, nel ricorso per violazione dei diritti politici si può far valere la lesione del diritto federale, dei diritti costituzionali cantonali, come pure delle disposizioni cantonali in materia di diritto di voto dei cittadini e di elezioni e votazioni popolari. Il Tribunale federale esamina liberamente queste censure (DTF 141 I 221 consid. 3.1 pag. 224; 138 I 171 consid. 1.5). L'art. 34 cpv. 1 Cost. garantisce i diritti politici: questa norma tutela anche il diritto di referendum a livello comunale (DTF 140 I 58 consid. 3.1 pag. 60).
Le esigenze in materia di motivazione previste dall'art. 42 cpv. 2 LTF e quelle - accresciute - prescritte dall'art. 106 cpv. 2 LTF valgono anche per i ricorsi secondo l'art. 82 lett. c LTF (DTF 141 I 78 consid. 4.1 pag. 82, 36 consid. 1.3 pag. 41).
1.4. I ricorrenti criticano, senza tuttavia trarne alcuna conclusione, "le lungaggini" nello statuire da parte della Corte cantonale, che si è pronunciata sul gravame dell'8 gennaio 2016 soltanto il 4 maggio 2018, oltre due anni dopo l'inoltro dello stesso. Rilevano che nel frattempo il Consiglio di Stato ha adottato il PAL 3, un programma d'agglomerato che conferma e consolida il PAL 2. Certo, a parte il compimento della replica e della duplica, la causa non presenta particolari difficoltà. I ricorrenti stessi ammettono al proposito, rettamente, che avrebbero potuto far valere tempestivamente il loro diritto a ottenere una decisione in tempi più brevi. Riguardo alla loro inattività a sollecitare l'emanazione dell'impugnata sentenza e alla mancata presentazione di un ricorso per ritardata giustizia, si limitano tuttavia ad addurre che non l'hanno fatto perché avevano piena fiducia nel Tribunale cantonale amministrativo e "non volevano irritarlo".
Al riguardo giova rilevare che l'art. 5 cpv. 3 Cost. impone ai partecipanti a un processo di agire secondo il principio della buona fede, regola applicabile segnatamente anche ai diritti procedurali delle parti. Ne segue che una parte che si accorge o adottando la necessaria diligenza dovrebbe accorgersi che una regola di procedura, in concreto il principio di celerità, sarebbe stata violata a suo scapito, non può lasciar seguire il corso della procedura senza reagire, per esempio allo scopo di riservarsi la possibilità d'invocare in un secondo tempo, come nella fattispecie, un motivo di censura quando il giudizio successivo gli sia sfavorevole. Siffatte misure dilatorie sono inammissibili. Di conseguenza, la parte che rinuncia deliberatamente a far valere la violazione di una regola di procedura dinanzi a un giudice chiamato a statuire, che avrebbe potuto se del caso sanare le conseguenze negative emanando senza ulteriore indugio la sentenza richiesta, perde di massima il diritto di prevalersi di questa lesione dinanzi al Tribunale federale (DTF 143 IV 397 consid. 3.4.2 pag. 406; 138 I 97 consid. 4.1.5 pag. 101).
 
Erwägung 2
2.1. L'art. 17 cpv. 4 Cost./TI dispone che il diritto di iniziativa e di referendum è garantito dove, come a Lugano, esiste il Consiglio comunale. Sono soggette a referendum le risoluzioni del Consiglio comunale di cui alle lett. a, d, e, g, h, i dell'art. 13 LOC, come pure nei casi stabiliti da leggi speciali, quando ciò sia domandato da almeno il 15 % dei cittadini, ritenuto un massimo di 3000 cittadini (art. 75 cpv. 1 LOC).
La Corte cantonale ha rilevato che il Municipio di Lugano, contraddetto dal Governo, ha ritenuto regolare e ricevibile la domanda di referendum avente per oggetto una risoluzione che autorizzerebbe una spesa di investimento ai sensi dell'art. 13 lett. e LOC. Si è poi espressa sulle nozioni di "spese vincolate", non referendabili, e spese "nuove". Richiamata la prassi (DTF 141 I 130 consid. 4.1 pag. 133), ha ritenuto che si è in presenza di una spesa nuova quando l'autorità dispone di una libertà d'azione relativamente ampia per quanto attiene alla determinazione del suo ammontare, del momento della sua esecuzione e delle altre modalità. Per determinare la natura della spesa, segnatamente se si tratti di una vincolata, occorre quindi accertare se essa sia già stata predeterminata in una precedente decisione in maniera così chiara che per la sua esecuzione non rimane più alcun margine di manovra rilevante.
Ha osservato che in Ticino lo strumento per promuovere e organizzare la politica cantonale dei trasporti, garantendone il coordinamento e l'integrazione delle procedure speciali, è il Piano cantonale dei trasporti (PCT), che può essere elaborato e approvato a tappe per singoli comprensori regionali (art. 3 della legge sul coordinamento pianificatorio e finanziario in materia di infrastrutture e di servizi di trasporto del 12 marzo 1997; LCPF). Il PCT è allestito dal Consiglio di Stato, il quale può delegarne l'elaborazione alle Commissioni regionali dei trasporti (CRT), nei singoli comprensori regionali (art. 5 LCPF). Trattasi di organi istituiti dal Governo (art. 2 cpv. 1 LCPF), nei quali siedono i rappresentanti dei Comuni del comprensorio. Il PCT viene adottato dal Governo, che lo integra nel Piano direttore (art. 7 LCPF).
Riguardo al finanziamento, la Corte cantonale ha precisato che secondo l'art. 10 LCPF le spese per l'elaborazione del PCT e per la realizzazione delle opere sono assunte dal Cantone, dedotti gli eventuali sussidi della Confederazione e le partecipazioni di terzi (cpv. 1), mentre i comuni dei comprensori interessati sono tenuti a contribuire a tali spese fino a un massimo del 50 % (cpv. 2). In quest'ambito il Consiglio di Stato, sentite le CRT, stabilisce la quota globale del contributo a carico dei comuni in funzione dei loro interessi e della loro capacità finanziaria (art. 11 cpv. 1 LCPF) e i comuni, coordinati dalle CRT, stabiliscono consensualmente il riparto interno della loro quota globale di partecipazione (cpv. 2). In caso di mancato accordo, la ripartizione è stabilita dal Consiglio di Stato in base ai vantaggi, alla popolazione residente e alla forza finanziaria (cpv. 3) : contro la decisione governativa, i comuni hanno la facoltà di ricorrere al Gran Consiglio (cpv. 4).
2.2. I giudici cantonali hanno accertato che con risoluzioni dell'11 maggio 1999 e del 12 marzo 2003 il Gran Consiglio aveva stanziato un credito quadro di complessivi fr. 905'000'000.-- per la realizzazione delle opere previste nel PTL. La quota globale per il finanziamento di quelle della seconda fase di attuazione a carico di tutti i Comuni del comprensorio è poi stata fissata dal Governo mediante risoluzione n. 4603 del 14 ottobre 2014, che si riferisce alla convenzione conclusa l'11/19 dicembre 2013 tra lo stesso e la Commissione regionale dei trasporti del Luganese (CRTL) in rappresentanza dei comuni inclusi nel comprensorio. Hanno ricordato che la convenzione, oltre a elencare le opere da realizzare durante il periodo 2013-2033, stabilisce che la quota a carico dei comuni ammonta a complessivi fr. 216'000'000.--, fissando al suo allegato 3 le quote di finanziamento a carico dei singoli comuni, come in precedenza concordato con loro. Al dispositivo n. 2 la risoluzione n. 4603, rinviando al suo allegato 3, stabilisce che la concordata chiave di riparto interna è stata notificata ai comuni interessati, compreso quello di Lugano, che non l'hanno impugnata dinanzi al Gran Consiglio. La Corte cantonale ne ha dedotto che sia la quota globale per il finanziamento delle opere della seconda fase di attuazione del PTL/PAL, a carico dei comuni interessati, sia le singole quote di partecipazione dei medesimi sono quindi definitive e vincolanti, poiché decise dal Governo sulla base delle competenze assegnategli dall'art. 11 cpv. 1-3 LCPF. Ne ha concluso che il credito di fr. 102'040'000.--, ossia il 47 % di quello di fr. 216'000'000.--, costituisce una semplice previsione di spesa, non oggetto di referendum giusta l'art. 75 LOC, essendo vincolata a una precedente decisione governativa adottata in virtù del diritto cantonale. Ha aggiunto che, pur essendo contabilmente qualificabile come un investimento, questa spesa assumerà carattere definitivo soltanto man mano che il programma di interventi previsto dal PTL/PAL 2 si concreterà attraverso l'attuazione dei progetti da esso previsti.
2.3. Oggetto del litigio è unicamente la referendabilità della spesa litigiosa e non le censure di merito mosse dai ricorrenti ai criticati investimenti previsti dal PAL 2, che non devono pertanto essere esaminate. Al riguardo essi fanno valere una pretesa violazione del principio della buona fede, perché fino all'adozione della decisione governativa del 2 dicembre 2015 nessuna autorità si sarebbe espressa contro la pretesa liceità del referendum comunale: anzi, il Municipio di Lugano ha sostenuto il contrario. Ne deducono che il silenzio delle autorità cantonali avrebbe convinto i cittadini della legittimità del referendum. Al riguardo si limitano tuttavia a rilevare che il Cantone, " che per dovere costituzionale esercita la sorveglianza sulle attività dei Comuni ", non avrebbe potuto "cambiare idea" in seguito, senza violare il principio della buona fede.
Come visto, trattandosi di un referendum a livello comunale, eccetto nel caso di un ricorso, non spetta alle autorità cantonali, ma al Municipio esaminare la regolarità e la ricevibilità della domanda di referendum (art. 75 cpv. 5 LOC). I ricorrenti non indicano alcuna norma legale che avrebbe imposto alle autorità cantonali d'intervenire d'ufficio. Né dalla legge ticinese sull'esercizio dei diritti politici del 7 ottobre 1998 (LEDP), alla quale rinvia l'art. 79 LOC, tuttavia con riferimento a questioni che esulano dall'oggetto del litigio, risulta un qualsiasi obbligo in tal senso né essi dimostrano che l'esame di merito di un'iniziativa comunale rientrerebbe nell'ambito della vigilanza sui Comuni spettante al Consiglio di Stato (art. 194 segg. LOC) : ciò a maggior ragione ritenuto che l'istanza di intervento è un rimedio di diritto sussidiario, riservato ai casi in cui non sia possibile promuovere una normale procedura ricorsuale (art. 196a LOC), come data in concreto (art. 208 cpv. 1 LOC) e della quale ha fatto uso un cittadino. Del resto, nella risoluzione del 4 settembre 2015 il Municipio, limitandosi ad accertare sotto un profilo meramente formale la validità delle firme, non si è pronunciato sull'ammissibilità o meno del referendum.
In tale contesto la sostenuta violazione del principio della buona fede, perché le autorità cantonali sono intervenute soltanto dopo essere state adite su ricorso, manifestamente non regge.
2.4. Certo, secondo l'art. 5 cpv. 3 Cost. gli organi dello Stato, autorità e privati agiscono secondo il principio della buona fede, ancorato anche all'art. 9 Cost.: da esso deriva pure il divieto di assumere un comportamento contraddittorio (DTF 143 IV 397 consid. 3.4.2 pag. 406; 143 V 66 consid. 4.3 pag. 69). Il principio della buona fede tutela tra l'altro la fiducia riposta in un'informazione ricevuta dall'autorità, quando quest'ultima sia intervenuta in una situazione concreta rispetto a determinate persone, quando la stessa era competente a rilasciare l'informazione o il cittadino poteva ritenerla competente sulla base di fondati motivi, quando affidandosi sull'esattezza dell'informazione egli abbia preso delle disposizioni non reversibili senza subire un pregiudizio e quando posteriormente al rilascio dell'informazione non siano intervenuti mutamenti legislativi (DTF 141 V 530 consid. 6.2 pag. 538). I ricorrenti non adducono l'adempimento di nessuna di queste condizioni, né ciò è ravvisabile. Contrariamente al loro infondato assunto, intervenendo, peraltro rettamente, solo in seguito all'inoltro di un ricorso, le autorità cantonali non hanno per nulla adottato un comportamento contraddittorio, né hanno indotto in errore i ricorrenti o suscitato fondate aspettative sull'ammissibilità del referendum (DTF 143 V 95 consid. 3.6.2 pag. 103; 142 IV 286 consid. 1.6.2 pag. 288).
Il generico richiamo dei ricorrenti a un'opinione dottrinale (ADELIO SCOLARI, Diritto amministrativo, Parte generale, 2002, n. 625 pag. 203), secondo cui se diverse interpretazioni di una decisione sono possibili, l'autorità ne dovrebbe sopportare le conseguenze e accettare quella data dal destinatario, purché sia plausibile, non è pertinente. L'invocata citazione riprende semplicemente un passaggio della DTF 114 Ia 245 consid. 3c pag. 28, che si riferisce però a tutt'altra fattispecie, segnatamente al principio che dall'interpretazione di norme oscure o equivoche l'interessato non deve subire danni, per cui esse devono essere interpretate così come egli poteva ragionevolmente comprenderle. Ora, nel caso in esame non si è in presenza di alcuna norma oscura, che dovrebbe essere oggetto di interpretazione nel senso più favorevole ai ricorrenti: essi del resto neppure la indicano. La decisione municipale, che attestava semplicemente la riuscita formale della domanda di referendum, chiaramente non costituisce una decisione sull'interpretazione di una norma ambigua.
2.5. Nel merito i ricorrenti si limitano a rilevare che a loro parere la risoluzione governativa del 2014 codificherebbe semplicemente un accordo tra le parti, ma non obbligherebbe i Comuni interessati a stanziare i crediti previsti nella citata convenzione del 2013 sottoscritta dalla CRTL in rappresentanza dei comuni interessati, poiché si tratterebbe di un accordo tra Esecutivi. I Consigli comunali sarebbero quindi liberi di aderirvi o no, l'atto che avrebbe potuto vincolarli dovendo essere, al loro dire, un decreto legislativo del Gran Consiglio, inesistente riguardo al PAL 2. Adducono, in maniera del tutto generica, che la risoluzione governativa del 14 ottobre 2014, ratificata tacitamente dai Municipi interessati, costituirebbe un semplice atto preparatorio in vista di una decisione del Parlamento cantonale, disattendendo peraltro il già avvenuto stanziamento del credito quadro da parte di quest'ultimo. Ne deducono che le autorità, trattandosi di un credito d'impegno che serve alla realizzazione di un programma articolato in più interventi, chiamato credito quadro, avrebbero dovuto procurarsi un decreto legislativo del Gran Consiglio che lo approvasse. Al riguardo, richiamano semplicemente l'art. 24 della legge sulla gestione e sul controllo finanziario dello Stato del 20 gennaio 1986, norma che enuncia solo la definizione del credito quadro (cpv. 1), dalla quale non risulta che l'istanza competente per adottare il credito litigioso dovrebbe essere il Gran Consiglio.
2.6. Osservano poi che l'altra via procedurale da seguire sarebbe consistita nel chiedere prima a ogni Consiglio comunale del Luganese di approvare la sua parte di credito e che, nell'ipotesi d'adesione di una consistente parte di loro, il Gran Consiglio avrebbe poi votato la propria. Ammettono, a ragione, che questa procedura non è usuale, ma che sarebbe possibile e lecita.
A sostegno di questa approssimativa tesi, i ricorrenti non soltanto non indicano alcuna norma legale che la prevederebbe, ma neppure tentano di dimostrare che quelle poste a fondamento dell'impugnato giudizio, in particolare gli art. 10 e 11 LCPF, con i quali contravvenendo al loro obbligo di motivazione (art. 42 LTF) non si confrontano, non sarebbero pertinenti o che sarebbero state applicate in maniera lesiva del diritto. Adducendo il maniera del tutto generica che lo stanziamento dei crediti spetta al Legislativo, essi neppure tentanto di dimostrare perché la regolamentazione speciale istituita dagli art. 10 e 11 LCPF non sarebbe applicabile.
3. In quanto ammissibile, il ricorso dev'essere quindi respinto. Le spese seguono la soccombenza (art. 66 cpv. 1 LTF; DTF 133 I 141 consid. 4.1).
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
1. Nella misura in cui è ammissibile, il ricorso è respinto.
2. Le spese giudiziarie di fr. 1'000.-- sono poste a carico dei ricorrenti in solido.
3. Comunicazione a Stefano Nicola Baragiola, a Paolo Sanvido, al Municipio di Lugano, al Dipartimento delle istituzioni, Divisione degli interni, Sezione degli enti locali, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino.
Losanna, 5 luglio 2018
In nome della I Corte di diritto pubblico
del Tribunale federale svizzero
Il Presidente: Merkli
Il Cancelliere: Crameri