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Informationen zum Dokument  BGer 2C_880/2011  Materielle Begründung
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BGer 2C_880/2011 vom 29.05.2012
 
Bundesgericht
 
Tribunal fédéral
 
Tribunale federale
 
{T 0/2}
 
2C_880/2011
 
Sentenza del 29 maggio 2012
 
II Corte di diritto pubblico
 
Composizione
 
Giudici federali Zünd, Presidente,
 
Seiler, Stadelmann,
 
Cancelliera Ieronimo Perroud.
 
 
Partecipanti al procedimento
 
A.________,
 
patrocinato dall'avv. Yasar Ravi,
 
ricorrente,
 
contro
 
Dipartimento delle istituzioni del Cantone Ticino, Sezione della popolazione, 6500 Bellinzona,
 
Consiglio di Stato del Cantone Ticino, Residenza governativa, 6500 Bellinzona.
 
Oggetto
 
Revoca del permesso di domicilio,
 
ricorso in materia di diritto pubblico contro la sentenza emanata il 21 settembre 2011 dal Tribunale amministrativo del Cantone Ticino.
 
Fatti:
 
A.
 
Dopo un primo soggiorno in Svizzera nel 2001 quale richiedente l'asilo, A.________ (1968), cittadino della Repubblica di Guinea, è tornato nel nostro Paese nel febbraio 2003 per sposarsi il 21 marzo successivo con la cittadina svizzera B.________ (1965). A seguito del matrimonio ha beneficiato dapprima di un permesso di dimora e poi, dal 21 marzo 2008, di un permesso di domicilio. Il 22 ottobre 2008 la coppia ha avuto un figlio, C.________, il quale possiede la nazionalità svizzera.
 
B.
 
Nel corso della sua permanenza in Svizzera A.________ ha interessato a diverse riprese le autorità amministrative e giudiziarie penali:
 
- il 16 agosto 2005 è stato condannato dal Procuratore pubblico a una multa di fr. 1'000.-- per falsità in certificati e circolazione senza licenza di condurre;
 
- il 13 gennaio 2006 si è visto infliggere dall'allora Sezione dei permessi e dell'immigrazione (ora: Sezione della popolazione) del Dipartimento delle istituzioni del Canton Ticino una multa di fr. 500.-- per avere lavorato in proprio sprovvisto della necessaria autorizzazione, ammenda confermata dal Presidente della Pretura penale il 25 agosto 2006;
 
- il 15 settembre 2010, allorché era in detenzione preventiva dal 16 dicembre 2009, è stato condannato dalla Corte delle Assise criminali alla pena detentiva di 4 anni e 2 mesi per ripetuta infrazione aggravata alla legge federale sugli stupefacenti e sulle sostanze psicotrope del 3 ottobre 1951 (LStup; RS 812.121) e ripetuto riciclaggio di denaro.
 
C.
 
Sulla base di questi fatti, il 18 febbraio 2011 la Sezione della popolazione ha comunicato ad A.________ la decadenza (recte: la revoca), per gravi motivi di polizia e di ordine pubblico, del proprio permesso di domicilio e gli ha intimato di abbandonare la Svizzera al momento della sua scarcerazione. Detta decisione è stata confermata su ricorso dal Consiglio di Stato il 14 giugno 2011 e, in seguito, dal Tribunale cantonale amministrativo, con sentenza del 21 settembre 2011.
 
D.
 
Il 26 ottobre 2011 A.________ ha inoltrato un ricorso in materia di diritto pubblico al Tribunale federale con cui chiede l'annullamento della sentenza cantonale e la pronuncia di un ammonimento.
 
Sia nel caso la sua principale conclusione venisse accolta che in quello in cui fosse respinta, domanda inoltre che venga accertata la violazione del suo diritto di essere sentito. Di conseguenza postula l'annullamento della sentenza cantonale in quanto ritiene che la decisione di prima istanza era sufficientemente motivata, rispettivamente esige che venga accertato che la decisione di prime cure era insufficientemente motivata nonché resa in violazione dell'art. 96 cpv. 1 LStr. Domanda di riflesso che venga ordinato al Tribunale cantonale amministrativo di annullare il p.to 2 del dispositivo della decisione del 14 giugno 2011 del Consiglio di Stato, che lo obbliga a pagare una tassa di giustizia di fr. 600.--, nonché insta affinché sia intimato alla Corte cantonale di assegnarli un adeguato importo a titolo di ripetibili pari a fr. 2'000.--.
 
Dopo avere chiesto l'invio dell'inserto cantonale, avvenuto il 4 novembre 2011, il Tribunale federale ha invitato le autorità cantonali ricorsuali ad esprimersi. Con scritto del 30 aprile 2012 il Tribunale cantonale amministrativo si è riconfermato nelle conclusioni della propria sentenza. La risposta del Consiglio di Stato è stata invece scartata, poiché spedita fuori termine.
 
Diritto:
 
1.
 
II Tribunale federale esamina d'ufficio e con piena cognizione la sua competenza (art. 29 cpv. 1 LTF) e l'ammissibilità dei gravami che gli vengono sottoposti (DTF 136 I 42 consid. 1 pag. 43; 136 II 101 consid. 1 pag. 103 con rispettivi rinvii).
 
2.
 
2.1 Presentata in tempo utile (art. 100 cpv. 1 LTF) dal destinatario della decisione querelata (art. 89 cpv. 1 LTF), l'impugnativa è, di principio, ammissibile quale ricorso in materia di diritto pubblico ai sensi degli art. 82 segg. LTF. Concerne infatti la revoca di un'autorizzazione che, essendo di durata illimitata, continuerebbe altrimenti a produrre effetti giuridici (art. 83 lett. c n. 2 LTF; DTF 135 II 1 consid. 1.2.1 pag. 4).
 
2.2 In ragione dell'effetto devolutivo dei ricorsi interposti in precedenza, con tale impugnativa il ricorrente è però unicamente legittimato a formulare conclusioni riguardanti l'annullamento o la riforma della sentenza del Tribunale cantonale amministrativo. Per quanto espressamente rivolto alla modifica del p.to 2 del dispositivo del giudizio del Consiglio di Stato del 14 giugno 2011, rispettivamente all'accertamento dell'insufficiente motivazione della decisione della Sezione della popolazione nonché del fatto che sia stata resa in violazione dell'art. 96 cpv. 1 LStr, il ricorso è pertanto inammissibile (DTF 134 II 142 consid. 1.4 pag. 144).
 
3.
 
Con il ricorso in materia di diritto pubblico può tra l'altro essere censurata la violazione del diritto federale (art. 95 lett. a LTF), nozione che comprende i diritti costituzionali dei cittadini (DTF 133 III 446 consid. 3.1 pag. 447 seg.). Rispettate le condizioni di cui all'art. 42 cpv. 2 LTF, il Tribunale federale applica comunque il diritto d'ufficio (art. 106 cpv. 1 LTF) e può accogliere o respingere un ricorso anche per motivi diversi da quelli invocati o su cui si è fondata l'autorità precedente (DTF 133 II 249 consid. 1.4.1 pag. 254). La violazione di diritti fondamentali è per contro esaminata unicamente se il ricorrente ha sollevato e motivato tale censura (art. 106 cpv. 2 LTF; DTF 134 II 244 consid. 2.2 pag. 246).
 
4.
 
4.1 Il ricorrente censura una violazione del suo diritto di essere sentito sotto diversi aspetti. In primo luogo rimprovera alla Corte cantonale di essere giunta alla conclusione, così come prima di lei il Consiglio di Stato, che la decisione emanata dalla Sezione della popolazione era sufficientemente motivata, ciò che contesta recisamente. Afferma infatti che i motivi su cui la stessa poggia non erano chiaramente indicati e che vi era solo un generico rinvio ad articoli di legge. Al riguardo si richiama al modo di procedere di altri cantoni, segnatamente quello dei Grigioni, che emanano delle decisioni di più pagine, con un esposto dettagliato degli argomenti ritenuti, e denuncia una disparità di trattamento lesiva dell'art. 8 Cost.
 
Egli biasima poi il fatto che non sia stato né interpellato né perlomeno invitato ad esprimersi per iscritto prima della pronuncia della revoca, decisa senza che un'indagine sulla sua situazione personale e famigliare sia eseguita né che siano ponderati gli interessi in gioco, in chiara violazione dell'art. 29 cpv. 2 Cost. nonché dell'art. 96 LStr. Chiede pertanto che venga accertato che, contrariamente all'opinione della Corte cantonale la quale condivide in proposito quella del Consiglio di Stato, il suo diritto di essere sentito è stato disatteso da parte dell'autorità di prime cure, motivo per cui devono essergli rimborsate le spese postegli a carico dal Governo ticinese nonché venirgli attribuite congrue ripetibili. Infatti, nessuno dovrebbe essere costretto a ricorrere ai servizi di un avvocato per comprendere la portata di una decisione, rispettivamente a proporre un ricorso affinché la propria situazione sia correttamente valutata e per ottenere una decisione correttamente motivata.
 
4.2 Dato che il diritto di essere sentiti ha natura formale, che una sua lesione può solo eccezionalmente essere sanata e comporta di regola l'annullamento della decisione impugnata, a prescindere dall'eventuale fondatezza delle critiche sollevate, tale censura va esaminata preliminarmente (DTF 137 I 195 consid. 2.2 pag. 197; 135 I 187 consid. 2.2 pag. 190 con rinvii).
 
Il contenuto del diritto di essere sentito è determinato in primo luogo dalle disposizioni cantonali di procedura, sindacabili da parte del Tribunale federale solamente sotto il ristretto profilo dell'arbitrio; in ogni caso l'autorità cantonale deve tuttavia osservare le garanzie minime dedotte direttamente dall'art. 29 cpv. 2 Cost., il cui rispetto è verificato dal Tribunale federale con pieno potere d'esame (DTF 135 I 279 consid. 2.2 pag. 281 e rinvio). Nell'evenienza concreta, il ricorrente non invoca la violazione di una disposizione cantonale relativa al diritto di essere sentito, per cui la censura va esclusivamente esaminata alla luce dell'art. 29 cpv. 2 Cost.
 
Il diritto di essere sentiti ancorato nell'art. 29 cpv. 2 Cost. assicura al cittadino la facoltà di esprimersi prima che sia presa una decisione che lo tocca nella sua situazione giuridica e comprende tutte quelle facoltà che devono essere riconosciutegli affinché possa efficacemente far valere la sua posizione nella procedura (DTF 135 II 286 consid. 5.1 pag. 293; 133 I 270 consid. 3.1 pag. 277). Tra queste, anche il diritto ad una motivazione sufficiente, cui si richiama il ricorrente. Detto diritto non impone tuttavia di esporre e discutere tutti i fatti, i mezzi di prova e le censure formulati; è infatti sufficiente che dalla decisione impugnata emergano in maniera chiara i motivi su cui l'autorità fonda il suo ragionamento (DTF 134 I 83 consid. 4.1 pag. 88; 129 I 232 consid. 3.2 pag. 236 seg.; 126 I 97 consid. 2b pag. 102 seg.; 117 Ib 64 consid. 4 pag. 86). Dal punto di vista formale, il diritto ad una motivazione è rispettato anche se la motivazione è implicita, risulta dai diversi considerandi componenti la decisione (sentenza 2C_505/2009 del 29 marzo 2010 consid. 3.1), oppure da rinvii ad altri atti. Anche in questo caso, occorre però che ciò non ne ostacoli oltremodo la comprensione o addirittura la precluda (cfr. sentenze 2A.199/2003 del 10 ottobre 2003 consid. 2.2.2 e 1P.708/1999 del 2 febbraio 2000 consid. 2).
 
4.2.1 Per quanto riguarda il difetto di motivazione lamentato dal ricorrente, occorre ricordare innanzitutto che una diversa prassi di altri cantoni non è di per sé suscettibile di comportare una disparità di trattamento (DTF 115 Ia 81 consid. 3c pag. 85; vedasi anche sentenza 1C_234/2007 del 27 maggio 2008 pubblicata in: RtiD 2009 I pag. 195 consid. 9.2 e rinvii). Va poi osservato che, come già rilevato dalla Corte cantonale, sebbene il testo della decisione di prime cure fosse effettivamente stringato (secondo i giudici ticinesi il medesimo soddisfaceva i "requisiti minimi"), esso conteneva tuttavia gli elementi essenziali anche se ridotti alla loro espressione minima, cioè il richiamo della condanna penale del 15 settembre 2010 e dei disposti di legge concernenti la revoca delle autorizzazioni di soggiorno (sapere poi se dette norme fossero determinanti è un problema di merito) nonché un rimando a motivi di polizia e di ordine pubblico. Anche se sintetizzati, detti elementi erano comunque sufficienti per porre l'interessato nelle condizioni di afferrare le ragioni poste a fondamento della revoca (condanna penale e motivi di ordine pubblico), di rendersi conto della portata del provvedimento (perdita dell'autorizzazione di soggiorno e rinvio dalla Svizzera) e, infine, di poterla impugnare con cognizione di causa, ciò che ha fatto rivolgendosi dapprima al Consiglio di Stato, poi al Tribunale cantonale amministrativo. Su questo aspetto, la censura si rivela infondata e come tale va respinta.
 
4.2.2
 
4.2.2.1 Per quanto concerne l'addebito secondo cui l'autorità di prime cure non avrebbe interpellato il ricorrente prima di adottare il provvedimento litigioso, la Corte cantonale, dopo aver esposto i principi giurisprudenziali che tutelano il diritto di essere sentito, ha osservato innanzitutto che in materia di diritto degli stranieri non vi era alcuna norma che imponeva all'autorità d'informare lo straniero della possibilità di revoca dell'autorizzazione di soggiorno né di concedergli la facoltà di esprimersi prima. In secondo luogo ha ritenuto che siccome era stato condannato ad una pena detentiva di 4 anni e 2 mesi egli doveva attendersi ad una decisione riguardante il proprio permesso. Infine ha lasciato indecisa la questione di sapere se detto diritto poteva essere dedotto dall'art. 29 Cost., in quanto la decisione di prima istanza era stata impugnata dinanzi al Governo cantonale, il quale avrebbe comunque sanato un'eventuale violazione della citata norma.
 
4.2.2.2 Tale argomentazione non può essere tutelata. Il diritto di essere sentito ancorato all'art. 29 cpv. 2 Cost., il quale si applica in tutte le procedure amministrative e, quindi, anche in un procedimento in materia di diritto degli stranieri, garantisce in particolare il diritto per l'interessato di esprimersi prima della resa di una decisione, sfavorevole o no, nei suoi confronti (cfr. HÄFELIN/MÜLLER, Grundriss des Allgemeinen Verwaltungsrechts, 6a edi., pag. 374 n. 1615, pag. 384 n. 1672 segg., segnatamente n. 1680; BENJAMIN SCHINDLER in: Caroni/Gächter/Thurnherr, Bundesgesetz über Ausländerinnen und Ausländer (Aug), 2010, n. 17 all'art. 96 e nota piè di pagina n. 64). In queste condizioni, il fatto che la legislazione federale sugli stranieri non prescriva espressamente che uno straniero debba essere sentito prima dell'emanazione di una decisione concernente la propria autorizzazione di soggiorno non è determinante dato che, come appena accennato, tale diritto è in ogni caso garantito dalla norma costituzionale sopraccitata.
 
Certo ci si potrebbe domandare se, come addotto dalla Corte cantonale, il ricorrente visto il suo comportamento non potesse o dovesse comunque attendersi al provvedimento in questione. Tale opinione non può essere condivisa. In primo luogo perché il ricorrente, malgrado la pesante condanna, è sposato dal marzo 2003 con una cittadina svizzera con la quale ha avuto un figlio, nato nel 2008 e anche lui cittadino svizzero. Vista la sua situazione famigliare, non può quindi semplicemente essere addotto che egli doveva manifestamente attendersi alla pronuncia della revoca del permesso di domicilio. Senza poi trascurare che la revoca contestata è comunque stata emanata diversi mesi dopo la condanna penale. In secondo luogo perché in ossequio ai suoi diritti costituzionali, egli avrebbe dovuto potersi esprimere sui punti essenziali del provvedimento prima che venisse adottata la decisione di revoca che lo ha toccato in maniera rilevante nella sua situazione giuridica. È quindi a torto che la Corte cantonale ha negato una disattenzione del suo diritto di essere sentito sgorgante dall'art. 29 Cost. da parte dell'autorità di prime cure, ossia la Sezione della popolazione. Constatata detta violazione non occorre ancora appurare se, a sua volta, l'art. 96 LStr sia stato leso.
 
È vero che, ciò che peraltro nemmeno il ricorrente contesta, detta violazione è stata sanata al Consiglio di Stato ticinese, che disponeva del medesimo potere di esame dell'autorità decidente e dinanzi al quale il ricorrente ha potuto esprimersi compiutamente nonché esaminare il fascicolo di causa. Occorre comunque ricordare alle autorità cantonali che la riparazione del vizio deve, segnatamente in presenza di gravi violazioni, rimanere l'eccezione, non fosse altro perché la concessione successiva del diritto di essere sentito costituisce sovente solo un surrogato imperfetto dell'omessa possibilità di fare valere preventivamente i propri assunti. Nel caso concreto il ricorrente non ha avuto, perlomeno non l'ha dimostrato, a subire pregiudizio nella propria situazione giuridica dalla concessione successiva del diritto di essere sentito. In queste condizioni la fondatezza della censura non porta all'annullamento della sentenza impugnata. Verrà tuttavia formalmente constatato che il diritto di essere sentito del ricorrente è stato violato, la costatazione di un comportamento illecito da parte dell'autorità costituendo una forma di riparazione. Inoltre, detta violazione verrà considerata nel giudizio sulle spese e ripetibili (sentenza 1P.793/2006 del 22 febbraio 2007 consid. 6.1.4.e rinvii).
 
Su quest'ultimo punto va osservato che il Tribunale cantonale amministrativo, il quale, come appena illustrato, avrebbe dovuto constatare che il diritto di essere sentito del ricorrente era stato leso, avrebbe anche dovuto annullare le spese poste a carico dell'interessato per la procedura dinanzi al Consiglio di Stato, ciò che non ha fatto. Per rimediarvi viene pertanto ora deciso che il ricorrente è liberato dal pagamento delle spese poste a suo carico dal Consiglio di Stato e che se sono già state versate, le stesse devono essergli rimborsate.
 
5.
 
Nel merito la procedura riguarda un provvedimento di revoca di un permesso di domicilio.
 
5.1 Giusta l'art. 63 cpv. 1 lett. a LStr, il permesso di domicilio può essere revocato se sono adempiute, tra l'altro, le condizioni di cui all'art. 62 lett. b LStr, ovvero quando lo straniero è stato condannato a una pena detentiva di lunga durata. Secondo giurisprudenza una pena privativa della libertà è considerata di lunga durata se è stata pronunciata per più di un anno (DTF 137 II 297 consid. 2 pag. 299 ss; 135 II 377 consid. 4.2 pag. 379 segg), a prescindere dal fatto che la pena comminata sia stata sospesa in tutto o in parte oppure che la stessa vada o sia stata espiata (sentenza 2C_432/2011 del 13 ottobre 2011 consid. 2.1).
 
Anche in presenza di motivi di revoca giusta l'art. 62 lett. b LStr, una simile misura si giustifica solo se, alla luce dei differenti interessi in discussione, risulta essere proporzionata. In base all'art. 96 LStr, nell'esercizio del loro potere discrezionale, le autorità competenti tengono conto degli interessi pubblici e della situazione personale dello straniero, considerando la gravità di quanto gli viene rimproverato, la durata del suo soggiorno in Svizzera, il suo grado d'integrazione e il pregiudizio che l'interessato e la sua famiglia subirebbero se la misura presa venisse confermata (DTF 135 II 377 consid. 4.3 pag. 381; 135 I 153 consid. 2.1 pag. 154; sentenza 2C_655/2011 del 7 febbraio 2012 consid. 10.1). La condanna inflitta dal giudice penale costituisce il primo criterio per valutare la gravità della colpa e procedere alla ponderazione degli interessi (sentenza 2C_655/2011 del 7 febbraio 2012 consid. 10.1). In presenza di una pena detentiva di lunga durata, questa Corte ha già giudicato che andava confermata la prassi secondo cui lo straniero condannato a una pena di due anni o più non poteva più, di regola, beneficiare di un'autorizzazione di soggiorno, anche quando non si poteva esigere o solo difficilmente dal coniuge svizzero che lasciasse la Svizzera (cfr. DTF 135 II 377 consid. 4.3 e 4.4 pag. 382 seg.; 134 II 10 consid. 4.3 pag. 24). Sebbene tale regola non possa essere riportata tale e quale alla situazione di uno straniero titolare di un permesso di domicilio e residente in Svizzera da diversi anni (quesito lasciato irrisolto nella sentenza 2C_265/2011 del 27 settembre 2011 consid. 6.2.5), essa può comunque costituire il punto di partenza per valutare la, rispettivamente le condanne penali la cui gravità porta, salvo circostanze eccezionali, le autorità a fare prevalere l'interesse pubblico all'allontanamento dello straniero sul suo e quello della sua famiglia a rimanere nel nostro Paese.
 
5.2 Dato che il ricorrente vive in Svizzera assieme alla moglie e al loro figlio, cittadini svizzeri, egli può appellarsi all'art. 8 CEDU (cfr. DTF 135 I 143 consid. 1.3.2 pag. 146; 130 II 281 consid. 3.1 pag. 285). Adempiute determinate condizioni, un'ingerenza nell'esercizio di tale diritto è comunque ammissibile ai sensi dell'art. 8 n. 2 CEDU (DTF 135 II 377 consid. 4.3 pag. 381). Un analogo esame della proporzionalità s'impone pure nell'ottica di questa norma, il quale verrà effettuato congiuntamente a quello richiesto dall'art. 96 LStr (DTF 135 II 377 consid. 4.3 pag. 381 seg.; 122 II 433 consid. 3 pag. 439 segg.).
 
5.3
 
5.3.1 Il ricorrente, a ragione, non contesta l'esistenza di un motivo di revoca del permesso di cui ha finora beneficiato. Vista la condanna di 4 anni e 2 mesi di detenzione, egli adempie infatti chiaramente ai criteri previsti dai combinati art. 62 lett. b e 63 cpv. 1 lett. a LStr. Ciò nondimeno, postula l'annullamento della decisione impugnata poiché sarebbe frutto, a suo dire, di un'errata ponderazione dei differenti interessi in discussione e chiede che il provvedimento di revoca venga sostituito da un ammonimento (art. 96 cpv. 2 LStr). Sottolinea di aver commesso un solo reato per il quale era prevista una pena detentiva (essendosi visto infliggere in precedenza solo delle multe, mentre il riciclaggio non toccherebbe un bene giuridico particolarmente sensibile dell'ordinamento giuridico svizzero) e considera che non sia stato tenuto sufficientemente conto né della sua collaborazione con le autorità, la quale dimostra che ha accettato le proprie responsabilità e che si è pentito, né del fatto che, da quel momento, ha tenuto un comportamento ineccepibile. Inoltre considera che non sono state valutate a sufficienza le ripercussioni della revoca ordinata su di lui e sulla sua famiglia.
 
5.3.2 Sennonché, sia nell'ottica del diritto interno che di quello convenzionale, le critiche formulate nei confronti del giudizio impugnato risultano infondate.
 
5.3.2.1 Come constatato dal Tribunale cantonale amministrativo, da quando gli è stata concessa un'autorizzazione di soggiorno in Svizzera nel 2003 e fino al suo arresto nel dicembre 2009 il ricorrente ha violato a diverse riprese e in maniera sempre più grave l'ordinamento giuridico svizzero. Dopo essersi visto infliggere una prima multa di fr. 1'000.-- nel 2005 per avere usato di licenze di condurre e di un permesso di guida internazionale risultati poi contraffatti nonché per aver ripetutamente (nel 2003, nel 2004 e nel 2005) circolato senza essere al beneficio di una regolare licenza di condurre, gli è stata irrogata una seconda multa di fr. 500.-- nel 2006 perché aveva lavorato in proprio sprovvisto della necessaria autorizzazione. Infine, nel settembre 2010, allorché era in detenzione preventiva dal dicembre 2009, è stato condannato a 4 anni e 2 mesi di detenzione per ripetuta infrazione aggravata alla LStup e ripetuto riciclaggio.
 
Al riguardo emerge dagli estratti della sentenza penale riprodotti dal Tribunale cantonale amministrativo che, tra l'agosto 2008 e il dicembre 2009 egli ha venduto circa 1'000 gr. di cocaina nonché ne deteneva altri 609,55 gr., che avrebbe venduto se non fosse stato arrestato. Tra l'aprile 2004 e il dicembre 2009 ha pure riciclato fr. 351'451.-- e Euro 6'000.--, denaro che sapeva o doveva presumere che proveniva, tra l'altro, da spaccio di stupefacenti. Si tratta di un reato grave, commesso in un settore particolarmente sensibile dell'ordine pubblico, il mercato della droga, nei confronti del quale la giurisprudenza è particolarmente rigorosa, soprattutto se si ha agito per fine di lucro (DTF 125 II 521 consid. 4a/aa pag. 526 seg.; 122 II 433 consid. 2c pag. 436; sentenze 2C_651/2009 del 1° marzo 2010 consid. 4.3 e 2C_622/2009 del 10 marzo 2010 consid. 6.2.1). Ciò che era il caso del ricorrente, il cui unico scopo era il proprio profitto, non essendo infatti consumatore di stupefacenti (cfr. sentenza impugnata pag. 9 in fine). Il fatto che il suo commercio di cocaina era importante, non da spacciatore di strada, e molto bene organizzato (cfr. sentenza impugnata pag. 10), conferma tale aspetto. Per quanto concerne il riciclaggio, detta attività si è estesa sull'arco di cinque anni e veniva esercitata con professionismo, visto che veniva prelevata una commissione del 5 % sul denaro cambiato. Considerate le somme riciclate nonché la loro provenienza, risulta infondato l'argomento secondo cui tale reato è trascurabile. Infine l'attività delittuosa non risale lontana nel tempo ed è cessata solo perché è stato arrestato. In queste condizioni è a ragione che i giudici cantonali hanno giudicato che la condotta assunta era particolarmente grave nonché dimostrava che l'interessato non voleva o non era in grado di adattarsi all'ordinamento svizzero. In questo contesto il fatto che egli abbia confessato la sua attività delittuosa e che in seguito non abbia avuto più nulla da farsi rimproverare, rispettivamente che si sia comportato bene in prigione, non permette di minimizzare la gravità della sua colpa.
 
5.3.2.2 Riguardo alla durata del soggiorno del ricorrente nel nostro Paese, essa va relativizzata. Sebbene viva in Svizzera dal 2003, egli si è messo a riciclare denaro nel 2004, a spacciare droga nel 2008 ed è in prigione da fine 2009. Inoltre non si è integrato né dal profilo professionale, non avendo più lavorato dal gennaio 2006, né dal profilo linguistico, non parlando ancora adesso l'italiano. Infine, il fatto che non si sia mai rivolto all'assistenza pubblica o alla disoccupazione non è determinante, dato che sono i cospicui (benché illeciti) guadagni ottenuti con l'attività delittuosa che gli hanno permesso di avere un comodo tenore di vita.
 
5.3.2.3 Per quanto concerne le difficoltà di reinserimento che un ritorno nel suo Paese d'origine comporterebbe, l'interessato non rimette in discussione gli elementi ritenuti dal Tribunale cantonale amministrativo (cfr. sentenza impugnata pag. 11 consid. 5.2.2 in fine) secondo i quali un suo rientro in Guinea, paese nel quale ha vissuto per oltre 30 anni e dove ha parenti con cui ha mantenuto contatti, anche se non è evidente, è comunque esigibile. Non occorre pertanto riesaminare questo punto.
 
5.3.2.4 Infine non può neanche essere considerata errata la valutazione espressa in merito alla situazione familiare. Riguardo alla moglie, cittadina svizzera, sebbene la situazione sia alquanto delicata, è tuttavia innegabile che durante gli ultimi due anni e mezzo circa, corrispondenti prima alla detenzione preventiva poi all'inizio dell'espiazione della pena, le restrizioni imposte dallo stato di reclusione hanno limitato pesantemente la relazione di coppia. Va poi rammentato che né il matrimonio né la paternità hanno trattenuto il ricorrente dal commettere gravi reati, assumendosi quindi consapevolmente il rischio di venir allontanato dal territorio svizzero. Per quanto concerne il figlio, di poco meno di quattro anni, egli è in un'età in cui un trasferimento non comporterebbe particolari difficoltà di adattamento (sentenze 2C_475/2009 del 26 gennaio 2010 consid. 4.2.3 e 2C_381/2008 del 14 gennaio 2009 consid. 2.4). Inoltre visto quanto addebitato a suo padre - la cui prolungata incarcerazione ha peraltro con ogni probabilità fortemente limitato l'influenza e l'apporto della figura paterna - una sua eventuale partenza appare esigibile, benché egli sia di nazionalità svizzera (DTF 136 I 285 consid. 5.2 pag. 287 seg.; sentenza 2C_541/2009 del 1° marzo 2010 consid. 3.2). In questo contesto appare privo di pertinenza il richiamo agli art. 3 cpv. 1 e 10 cpv. 1 della Convenzione del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo (RS 0.107), dato che da tali norme, le quali hanno un valore essenzialmente programmatico, non può venir dedotto nessun diritto al mantenimento di un'autorizzazione di soggiorno (DTF 126 II 377 consid. 5d pag. 391 seg.; sentenza 2A.501/2006 del 14 novembre 2006 consid. 2.3.2). Da quanto precede discende che il pregiudizio che subirebbero la moglie e il figlio del ricorrente, cittadini elvetici (senza poi dimenticare il figlio di primo letto di lei) a causa della sua partenza, rispettivamente il fatto che appare poco probabile che vogliano o possano seguirlo in Guinea non è, vista la gravità di quanto rimproveratogli, determinante e comunque non prevale sull'interesse pubblico al suo allontanamento.
 
Occorre infine ricordare che la misura presa non riguarda affatto i familiari del ricorrente, che hanno evidentemente la facoltà di continuare a soggiornare in Svizzera e quindi di mantenere i rapporti con il marito e padre via telefono, in forma scritta e nell'ambito di visite reciproche. Risulta infatti che nei suoi confronti è stata finora decisa unicamente una revoca del permesso di domicilio, che è anche il solo oggetto della procedura, cioè un provvedimento che di per sé non esclude un soggiorno del ricorrente nel nostro Paese per far visita alla famiglia (sentenza 2C_642/2009 del 25 marzo 2010 consid. 4.3.3 con rinvii).
 
5.3.2.5 Alla luce dei reati evocati e della loro gravità, la conclusione della Corte cantonale secondo cui l'interesse a revocare al ricorrente il permesso di domicilio risulta prevalente rispetto al suo interesse a continuare a soggiornare in Svizzera va pertanto confermata. Su questo punto il ricorso, infondato, va respinto.
 
5.3.3 Infine non occorre appurare se i principi derivanti dall'ALC (RS 0.142.112.681) e concernenti la revoca dell'autorizzazione di soggiorno di un cittadino europeo e dei membri della sua famiglia si applicano anche nei confronti del coniuge di un cittadino svizzero (cfr. DTF 130 II 176 consid. 3 e 4 pag. 179 segg., 493 consid. 3 e 4 pag. 497 segg). Quand'anche fosse il caso, il provvedimento contestato si rivelerebbe giustificato anche da questo profilo. La gravità di quanto addebitato al ricorrente, cioè la vendita di un ingente quantitativo di droga pesante ed un'attività delittuosa protrattasi per un lungo periodo e cessata unicamente in seguito al suo arresto, rappresenta in effetti un pericolo serio e concreto per un interesse fondamentale della società, come la lotta al traffico di droga e al diffondersi del suo consumo, nonché per un bene giuridico essenziale quale la salute pubblica. Non va poi trascurato che l'interessato, il quale come già accennato non ha saputo o voluto integrarsi, ha agito per puro scopo di lucro e che le responsabilità derivanti tra l'altro della nascita del figlio non l'hanno fatto desistere dall'attività criminale. Egli costituisce quindi una minaccia effettiva, attuale e sufficientemente grave per la società. Premesse queste considerazioni, il provvedimento litigioso risulterebbe ammissibile anche ai sensi dell'ALC.
 
6.
 
6.1 Da quel che precede discende che il ricorso dev'essere parzialmente accolto nel senso che viene constatato che il diritto di essere sentito del ricorrente è stato disatteso, non avendo questi potuto esprimersi prima dell'emanazione della revoca del proprio permesso di domicilio, ragione per cui non dovevano essergli addossate le spese per la procedura dinanzi al Consiglio di Stato, le quali, se già versate, dovranno essergli rimborsate. Per il resto il gravame, nella misura in cui è ammissibile, va respinto.
 
6.2 Visto l'esito del litigio non si prelevano spese (art. 66 cpv. 1 LTF) e lo Stato del Cantone del Ticino verserà un'indennità ridotta al ricorrente a titolo di ripetibili della sede federale (art. 68 cpv. 2 LTF).
 
Per questi motivi, il Tribunale federale pronuncia:
 
1.
 
Il ricorso in materia di diritto pubblico è parzialmente accolto nel senso che viene constatato che il diritto di essere sentito del ricorrente è stato disatteso, non avendo questi potuto esprimersi prima della pronuncia della revoca del permesso di domicilio, ragione per cui non dovevano essergli addossate le spese per la procedura dinanzi al Consiglio di Stato, le quali, se già versate, dovranno essergli rimborsate. Per il resto il gravame, nella misura in cui è ammissibile, è respinto.
 
2.
 
Non si prelevano spese. Lo Stato del Cantone del Ticino verserà un'indennità ridotta di fr. 1'500.-- al ricorrente a titolo di ripetibili della sede federale.
 
3.
 
Comunicazione al patrocinatore del ricorrente, al Dipartimento delle istituzioni, Sezione della popolazione, al Consiglio di Stato e al Tribunale amministrativo del Cantone Ticino nonché all'Ufficio federale della migrazione.
 
Losanna, 29 maggio 2012
 
In nome della II Corte di diritto pubblico
 
del Tribunale federale svizzero
 
Il Presidente: Zünd
 
La Cancelliera: Ieronimo Perroud
 
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